Il tema della casa, che trova il momento più alto di riflessione durante il Movimento Moderno, rivive in Italia una seconda e intensa stagione con il piano INA Casa (1949-1963, 1963-1970) nato in risposta all’emergenza abitativa che, negli anni del boom economico, raggiunge livelli di guardia, sia per la necessità di ricostruzione postbellica, sia per far fronte al fenomeno dell’urbanesimo che a Torino raggiunge il suo apice. Non a caso Torino viene definita la prima città meridionale d’Italia perché è lì che confluiscono migliaia di lavoratori provenienti dal sud e che portano con sé una grande varietà di tradizioni e culture abitative. Da questo punto di vista infatti Torino può essere considerata un osservatorio privilegiato, senz’altro nodo nevralgico a catalizzatore di tensioni sociali ma, anche interessante laboratorio di sperimentazione di procedimenti e tecniche costruttive. È interessante notare come trasformazioni sociali e sperimentazione tecnologica mutino nel tempo dando vita ad altrettanti modelli costruttivi. Si passa dal clima euforico della ricostruzione, caratterizzato da tipi edilizi ancora fortemente legati alla tradizione, con mirabile attenzione all’inserimento nel verde circostante, al clima cupo e asfittico del terrorismo degli anni di piombo, con l’introduzione di sistemi di prefabbricazione pesante per la realizzazione di quartieri ghetto contrassegnati da una visione statica e aspecifica dei modelli di vita. Questi insediamenti, in origine isolati dal centro e privati di servizi anche minimi ma ormai agevolmente raggiunti dalla rete di trasporto pubblico sono riscoperti e apprezzati dai nuovi residenti, figli e nipoti degli immigrati di prima generazione, per la qualità architettonica e l’inserimento ambientale. Non a caso molti di questi quartieri sono a firma dei più colti e aggiornati professionisti del tempo che proprio sul tema dell’abitare hanno concentrato le loro energie migliori. Nell’attuale dibattito sul futuro delle città e sugli interventi di rigenerazione urbana, anche in relazione all’attuazione dei SDGs dell’Agenda 2030, assume grande valore strategico e culturale che fare di questo patrimonio esteso e diffuso, con indiscutibili elementi di qualità residua, ma che necessita di inevitabili aggiornamenti dal punto di vista energetico e prestazionale.
Where there was the grass...Rethink, update, revive the workers' districts / Mele, Caterina; Garda, Emilia. - ELETTRONICO. - (2024). (Intervento presentato al convegno 10th REHABEND Congress on construction, pathology, rehabilitation technology and heritage management tenutosi a Gijón (Spain) nel 7-10 maggio 2024).
Where there was the grass...Rethink, update, revive the workers' districts
Mele, Caterina;Garda, Emilia
2024
Abstract
Il tema della casa, che trova il momento più alto di riflessione durante il Movimento Moderno, rivive in Italia una seconda e intensa stagione con il piano INA Casa (1949-1963, 1963-1970) nato in risposta all’emergenza abitativa che, negli anni del boom economico, raggiunge livelli di guardia, sia per la necessità di ricostruzione postbellica, sia per far fronte al fenomeno dell’urbanesimo che a Torino raggiunge il suo apice. Non a caso Torino viene definita la prima città meridionale d’Italia perché è lì che confluiscono migliaia di lavoratori provenienti dal sud e che portano con sé una grande varietà di tradizioni e culture abitative. Da questo punto di vista infatti Torino può essere considerata un osservatorio privilegiato, senz’altro nodo nevralgico a catalizzatore di tensioni sociali ma, anche interessante laboratorio di sperimentazione di procedimenti e tecniche costruttive. È interessante notare come trasformazioni sociali e sperimentazione tecnologica mutino nel tempo dando vita ad altrettanti modelli costruttivi. Si passa dal clima euforico della ricostruzione, caratterizzato da tipi edilizi ancora fortemente legati alla tradizione, con mirabile attenzione all’inserimento nel verde circostante, al clima cupo e asfittico del terrorismo degli anni di piombo, con l’introduzione di sistemi di prefabbricazione pesante per la realizzazione di quartieri ghetto contrassegnati da una visione statica e aspecifica dei modelli di vita. Questi insediamenti, in origine isolati dal centro e privati di servizi anche minimi ma ormai agevolmente raggiunti dalla rete di trasporto pubblico sono riscoperti e apprezzati dai nuovi residenti, figli e nipoti degli immigrati di prima generazione, per la qualità architettonica e l’inserimento ambientale. Non a caso molti di questi quartieri sono a firma dei più colti e aggiornati professionisti del tempo che proprio sul tema dell’abitare hanno concentrato le loro energie migliori. Nell’attuale dibattito sul futuro delle città e sugli interventi di rigenerazione urbana, anche in relazione all’attuazione dei SDGs dell’Agenda 2030, assume grande valore strategico e culturale che fare di questo patrimonio esteso e diffuso, con indiscutibili elementi di qualità residua, ma che necessita di inevitabili aggiornamenti dal punto di vista energetico e prestazionale.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/11583/2996255