Quando, alla fine del 19esimo secolo, i primi costruttori islandesi iniziarono a sperimentare con il calcestruzzo, questa nuova tecnica fu senza dubbio una sorpresa sia per i contadini, sia per gli abitanti dell’ancora piccolo villaggio di Reykjavík. In un Paese in cui gli edifici erano tradizionalmente costruiti in torba, il cemento sarebbe diventato la «pozione magica» descritta da Lúðvík Kristjánsson [Kristjánsson, 1948, p.128]. Anche se le prime costruzioni in calcestruzzo risalgono all’ultimo decennio dell’Ottocento, è solo dopo il grande incendio di Reykjavík nel 1915 che il c.a. diventa il materiale principe per la ricostruzione e l’espansione urbana della nazione: «Nel futuro, nessuna casa a Reykjavík sarà costruita in materiali diversi dalla pietra o dal cemento» recitava nel giugno 1915 il quotidiano Morgunblaðið [“Steinbær”, 1915]. Il calcestruzzo non avrebbe solo permesso una migliore protezione da incendi e terremoti: questo materiale sarebbe anche diventato un prezioso strumento per la «liberazione dalle tecniche costruttive e dall’architettura danesi» [Seelow 2011, p.73]. Nei febbrili anni che portarono prima all’autonomia (1919) e, infine, all’indipendenza dalla Danimarca (1944), l’Islanda dovette affrontare il compito di costruirsi la propria immagine architettonica e gli architetti islandesi usarono il calcestruzzo come principale materiale d’espressione. Il dibattito architettonico fu tutt’altro che calmo: da un lato, l’architetto di Stato Guðjón Samúelsson (1887-1950) lottava per la creazione di uno stile nazionale, proponendo inoltre nuove finiture per rendere più resistente e più curata la superficie del calcestruzzo; dall’altro, un folto gruppo di progettisti importò suggestioni dal Movimento Moderno. Se, al pensiero dell’Islanda, la prima immagine che emerge è quella di un paesaggio apparentemente incontaminato, costellato da piccole chiese in legno, in realtà l’unico vero simbolo architettonico del Paese è la possente chiesa di Hallgrímur (1937-1986) dello stesso Guðjón Samúelsson. Attraverso una ricerca bibliografica specifica, composta prevalentemente da fonti locali, si intende tracciare una storia dell’architettura islandese di quegli anni sottolineando l’essenziale ruolo, politico e costruttivo, del calcestruzzo armato.
Tra tecnica e politica. Il ruolo del calcestruzzo nell’architettura islandese (1900-1945) / Nannini, Sofia. - STAMPA. - (2018), pp. 1234-1245. (Intervento presentato al convegno Concrete. Architettura e Tecnica 2018 tenutosi a Matera nel 18, 19, 20 Giugno 2018).
Tra tecnica e politica. Il ruolo del calcestruzzo nell’architettura islandese (1900-1945)
Nannini Sofia
2018
Abstract
Quando, alla fine del 19esimo secolo, i primi costruttori islandesi iniziarono a sperimentare con il calcestruzzo, questa nuova tecnica fu senza dubbio una sorpresa sia per i contadini, sia per gli abitanti dell’ancora piccolo villaggio di Reykjavík. In un Paese in cui gli edifici erano tradizionalmente costruiti in torba, il cemento sarebbe diventato la «pozione magica» descritta da Lúðvík Kristjánsson [Kristjánsson, 1948, p.128]. Anche se le prime costruzioni in calcestruzzo risalgono all’ultimo decennio dell’Ottocento, è solo dopo il grande incendio di Reykjavík nel 1915 che il c.a. diventa il materiale principe per la ricostruzione e l’espansione urbana della nazione: «Nel futuro, nessuna casa a Reykjavík sarà costruita in materiali diversi dalla pietra o dal cemento» recitava nel giugno 1915 il quotidiano Morgunblaðið [“Steinbær”, 1915]. Il calcestruzzo non avrebbe solo permesso una migliore protezione da incendi e terremoti: questo materiale sarebbe anche diventato un prezioso strumento per la «liberazione dalle tecniche costruttive e dall’architettura danesi» [Seelow 2011, p.73]. Nei febbrili anni che portarono prima all’autonomia (1919) e, infine, all’indipendenza dalla Danimarca (1944), l’Islanda dovette affrontare il compito di costruirsi la propria immagine architettonica e gli architetti islandesi usarono il calcestruzzo come principale materiale d’espressione. Il dibattito architettonico fu tutt’altro che calmo: da un lato, l’architetto di Stato Guðjón Samúelsson (1887-1950) lottava per la creazione di uno stile nazionale, proponendo inoltre nuove finiture per rendere più resistente e più curata la superficie del calcestruzzo; dall’altro, un folto gruppo di progettisti importò suggestioni dal Movimento Moderno. Se, al pensiero dell’Islanda, la prima immagine che emerge è quella di un paesaggio apparentemente incontaminato, costellato da piccole chiese in legno, in realtà l’unico vero simbolo architettonico del Paese è la possente chiesa di Hallgrímur (1937-1986) dello stesso Guðjón Samúelsson. Attraverso una ricerca bibliografica specifica, composta prevalentemente da fonti locali, si intende tracciare una storia dell’architettura islandese di quegli anni sottolineando l’essenziale ruolo, politico e costruttivo, del calcestruzzo armato.File | Dimensione | Formato | |
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