Quando nel 1244 papa Innocenzo IV invitò gli “eremiti della Tuscia”, dispersi in numerose comunità, a riunirsi in un unico ordine sotto la regola di Sant’Agostino, la loro presenza nella Val di Merse senese, era già consolidata da lungo tempo. Alcuni storici hanno infatti ipotizzato uno stretto rapporto tra queste comunità eremitiche toscane e il monachesimo dell’Africa settentrionale a partire dal V secolo fino alla grande conquista araba del VII secolo. In tal senso anche la tradizione che vuole una visita di Sant’Agostino ai monaci dell’eremo di Rosia, ci conferma nell’idea della remota origine di questo insediamento. Dalle vicine grotte, che ancora oggi conservano tracce della dimora dei primi anacoreti, attorno all’anno Mille gli eremiti convergono in alcuni cenobi: nascono così le comunità di Santa Lucia, San Salvatore di Lecceto e San Leonardo al Lago. Nel luogo di un preesistente cimitero lungo la via Francigena tra il castello di Montarrenti e il ponte sul torrente Rosia gli eremiti costruiscono una piccola chiesa, primo nucleo edificato del “romitorio” di Santa Lucia. Nell’arco di alcuni secoli verrà a svilupparsi un complesso monastico capace di costituirsi quale importante centro propulsivo della ripresa economica e culturale della valle dopo il degrado alto-medievale. Attorno al chiostro si aggregano il monastero e l’ampia chiesa: l’abside di forma quadrata evoca influenze carolinge, forse portato delle idee di pellegrini e viandanti che percorrono la strada di collegamento tra Roma e le fiere della Champagne, mentre la comparsa della copertura a volta segna per quest’area il primo passaggio dal romanico al gotico. Qui le austere forme ispirate ai canoni di Citeaux, trovano nella tradizione costruttiva locale vibranti declinazioni nell’alternanza dei materiali di differenti colori (mattoni e pietra). Alla fine del ‘700, dopo alterne vicende, il complesso monastico viene lasciato dagli agostiniani e variamente utilizzato come edificio colonico fino al completo abbandono nel secolo scorso. Una recente campagna di rilievo ha inteso indagare i cospicui resti dell’antico eremo, verificando alcune ipotesi interpretative sull’evoluzione morfologica dell’organismo architettonico nel confronto con gli altri complessi eremitici coevi della Val di Merse.

Eremiti agostiniani lungo la via Francigena. Il romitorio dei Santi Lucia e Antonio a Rosia, Siena / C., Biagini; Donato, Vincenzo. - (2013), pp. 142-149. (Intervento presentato al convegno Architettura eremitica. Sistemi progettuali e paesaggi culturali tenutosi a La Verna (Arezzo) nel 20-22 Settembre 2013).

Eremiti agostiniani lungo la via Francigena. Il romitorio dei Santi Lucia e Antonio a Rosia, Siena.

DONATO, VINCENZO
2013

Abstract

Quando nel 1244 papa Innocenzo IV invitò gli “eremiti della Tuscia”, dispersi in numerose comunità, a riunirsi in un unico ordine sotto la regola di Sant’Agostino, la loro presenza nella Val di Merse senese, era già consolidata da lungo tempo. Alcuni storici hanno infatti ipotizzato uno stretto rapporto tra queste comunità eremitiche toscane e il monachesimo dell’Africa settentrionale a partire dal V secolo fino alla grande conquista araba del VII secolo. In tal senso anche la tradizione che vuole una visita di Sant’Agostino ai monaci dell’eremo di Rosia, ci conferma nell’idea della remota origine di questo insediamento. Dalle vicine grotte, che ancora oggi conservano tracce della dimora dei primi anacoreti, attorno all’anno Mille gli eremiti convergono in alcuni cenobi: nascono così le comunità di Santa Lucia, San Salvatore di Lecceto e San Leonardo al Lago. Nel luogo di un preesistente cimitero lungo la via Francigena tra il castello di Montarrenti e il ponte sul torrente Rosia gli eremiti costruiscono una piccola chiesa, primo nucleo edificato del “romitorio” di Santa Lucia. Nell’arco di alcuni secoli verrà a svilupparsi un complesso monastico capace di costituirsi quale importante centro propulsivo della ripresa economica e culturale della valle dopo il degrado alto-medievale. Attorno al chiostro si aggregano il monastero e l’ampia chiesa: l’abside di forma quadrata evoca influenze carolinge, forse portato delle idee di pellegrini e viandanti che percorrono la strada di collegamento tra Roma e le fiere della Champagne, mentre la comparsa della copertura a volta segna per quest’area il primo passaggio dal romanico al gotico. Qui le austere forme ispirate ai canoni di Citeaux, trovano nella tradizione costruttiva locale vibranti declinazioni nell’alternanza dei materiali di differenti colori (mattoni e pietra). Alla fine del ‘700, dopo alterne vicende, il complesso monastico viene lasciato dagli agostiniani e variamente utilizzato come edificio colonico fino al completo abbandono nel secolo scorso. Una recente campagna di rilievo ha inteso indagare i cospicui resti dell’antico eremo, verificando alcune ipotesi interpretative sull’evoluzione morfologica dell’organismo architettonico nel confronto con gli altri complessi eremitici coevi della Val di Merse.
2013
9788879706414
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