Dall’inizio del nuovo millennio il cambiamento climatico ha acuito la vessazione di un patrimonio culturale particolare e diffuso, costituito da parchi e giardini storici, mettendo in luce la condizione effimera e la fragilità di una loro materia costitutiva, quella vegetale, esposta a elevati livelli di rischio. Indagando alterazioni e danni arrecati a giardini europei per effetto di estemporanei eventi catastrofici (tempeste, alluvioni, siccità, incendi) e di processi lenti e cumulativi (fisiopatie e malattie di natura biotica, perdita di vocazionalità territoriale ed estinzione di specie vegetali), il contributo intende offrire una disamina di casi utili a comprendere la stretta correlazione tra eventi traumatici e resilienza nella conduzione di beni culturali fragili e viventi, ponendone in luce i caratteri di opportunità còlti nel rispondere a mutati scenari ambientali. A tale scopo, il contributo pone a confronto le voci di studiosi e professionisti – da De Guichen a Melnick, da Woudstra a de Vico Fallani – e compara gli esiti di differenti casi emblematici di giardini segnati nell’ultimo ventennio da mutati scenari ambientali, analizzandone le efficaci azioni di risposta e adattamento intraprese per far fronte a cambiamento e tramandare il patrimonio culturale. Tra i tanti, a titolo esemplificativo, si menziona il carattere di opportunità colto da Lablaude nella devastazione del parco di Versailles a seguito dell’uragano Lothar nel dicembre 1999 ha permesso la rigenerazione della componente arborea secondo un principio di collettività capace di garantirsi uno sviluppo adattivo nei confronti dei mutati scenari ambientali. Le ottimali condizioni igienico-sanitarie della componente d’alto fusto, oggi apprezzabili a vent’anni dalla pianificazione attuata, testimoniano l’efficacia della coraggiosa scelta e della propositiva resilienza di Lablaude. Rispetto alla possibilità di restaurare la materia vegetale di fronte a un «incerto ma certamente variabile futuro» – come asserisce Melnick – il cambiamento climatico impone riflessioni circa la possibilità o impossibilità di reiterazione delle specie odierne. Mutati scenari ambientali offrono l’opportunità di riproporre documentate specie antiche quale soluzione di adattamento al riscaldamento globale – come nel caso del Myrtus baetica reintrodotto nei giardini andalusi, in sostituzione al bosso, oggi vessato da plurime fisiopatie – o di sperimentarne nuove nel rispetto della matrice progettuale – come nel caso del giardino Friedman a Vancouver, restaurato da Cornelia Hahn Oberlander nel 2011. I volti dei nostri giardini potranno sensibilmente cambiare, pur preservandone il messaggio culturale; ma, come ci ricordano de Vico Fallani e Roger, all’uomo spetta l’esercizio di un’attitudine resiliente, nella sua cultura di osservatore e produttore di nuovi archetipi e di idonee soluzioni di adattamento sostenibile da applicare al patrimonio culturale.

Parchi e giardini storici e cambiamento climatico: caratteri di adattamento e opportunità nella conservazione di un patrimonio fragile / Ferrari, Marco. - In: SCIENZA E BENI CULTURALI. - ISSN 2039-9790. - STAMPA. - Le prossime sfide per i beni culturali. Ricerca, competenze e professioni a fronte di cambiamenti climatici, sostenibilità e transizione digitale:(2025), pp. 515-526.

Parchi e giardini storici e cambiamento climatico: caratteri di adattamento e opportunità nella conservazione di un patrimonio fragile

Ferrari, Marco
2025

Abstract

Dall’inizio del nuovo millennio il cambiamento climatico ha acuito la vessazione di un patrimonio culturale particolare e diffuso, costituito da parchi e giardini storici, mettendo in luce la condizione effimera e la fragilità di una loro materia costitutiva, quella vegetale, esposta a elevati livelli di rischio. Indagando alterazioni e danni arrecati a giardini europei per effetto di estemporanei eventi catastrofici (tempeste, alluvioni, siccità, incendi) e di processi lenti e cumulativi (fisiopatie e malattie di natura biotica, perdita di vocazionalità territoriale ed estinzione di specie vegetali), il contributo intende offrire una disamina di casi utili a comprendere la stretta correlazione tra eventi traumatici e resilienza nella conduzione di beni culturali fragili e viventi, ponendone in luce i caratteri di opportunità còlti nel rispondere a mutati scenari ambientali. A tale scopo, il contributo pone a confronto le voci di studiosi e professionisti – da De Guichen a Melnick, da Woudstra a de Vico Fallani – e compara gli esiti di differenti casi emblematici di giardini segnati nell’ultimo ventennio da mutati scenari ambientali, analizzandone le efficaci azioni di risposta e adattamento intraprese per far fronte a cambiamento e tramandare il patrimonio culturale. Tra i tanti, a titolo esemplificativo, si menziona il carattere di opportunità colto da Lablaude nella devastazione del parco di Versailles a seguito dell’uragano Lothar nel dicembre 1999 ha permesso la rigenerazione della componente arborea secondo un principio di collettività capace di garantirsi uno sviluppo adattivo nei confronti dei mutati scenari ambientali. Le ottimali condizioni igienico-sanitarie della componente d’alto fusto, oggi apprezzabili a vent’anni dalla pianificazione attuata, testimoniano l’efficacia della coraggiosa scelta e della propositiva resilienza di Lablaude. Rispetto alla possibilità di restaurare la materia vegetale di fronte a un «incerto ma certamente variabile futuro» – come asserisce Melnick – il cambiamento climatico impone riflessioni circa la possibilità o impossibilità di reiterazione delle specie odierne. Mutati scenari ambientali offrono l’opportunità di riproporre documentate specie antiche quale soluzione di adattamento al riscaldamento globale – come nel caso del Myrtus baetica reintrodotto nei giardini andalusi, in sostituzione al bosso, oggi vessato da plurime fisiopatie – o di sperimentarne nuove nel rispetto della matrice progettuale – come nel caso del giardino Friedman a Vancouver, restaurato da Cornelia Hahn Oberlander nel 2011. I volti dei nostri giardini potranno sensibilmente cambiare, pur preservandone il messaggio culturale; ma, come ci ricordano de Vico Fallani e Roger, all’uomo spetta l’esercizio di un’attitudine resiliente, nella sua cultura di osservatore e produttore di nuovi archetipi e di idonee soluzioni di adattamento sostenibile da applicare al patrimonio culturale.
2025
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