L’articolo, inserito nel numero 20/2021 della rivista dedicato a “Rovine e paesaggio”, approfondisce in quale misura la fascinazione per le rovine come elementi del paesaggio storico abbia condotto, dalle ultime decadi del XIX secolo, a una sollecitazione di programmi tesi alla loro salvaguardia e conservazione. La riflessione muove dalla lettura di una serie di documenti, per buona parte inediti, che rappresentano studi sui repertori architettonici in stato di rovina e sulle tracce archeologiche di quello che si potrebbe definire un ideale Tour dell’Italia, compiuto, a fini e in momenti diversi, da due protagonisti del dibattito italiano ed europeo sul restauro. Un primo apporto, da cui trarre tendenze e sensibilità che si traducono su un piano internazionale, si desume dai taccuini autografi di Charles Buls, relativi alle perlustrazioni italiane degli anni 1902-1909. Intrisi di appunti, schizzi, provini fotografici che insistono su temi dal paesaggio al dettaglio materiale, con notazioni interdisciplinari (archeologia, geologia, zoogeografia!) anche sul piano dell’immateriale (toponomastica, etnografia, antropologia, folclore), gli studi sul rapporto inscindibile tra rovine e contesto ambientale sembrano avere influenzato le teorie di Buls sul trattamento dei “monumenti morti” (Cloquet e Buls stesso) e aver contribuito ad ampliare l’orizzonte del restauro dalla dimensione architettonica a quella urbana fino al paesaggio antropizzato, se li rapportiamo al suo ruolo attivo nella ‘Société Nationale pour la protection des sites et des monuments en Belgique’. Il carnet del viaggio in Sardegna del 1909 (Archives de la Ville de Bruxelles), ad oggi sostanzialmente non noto, con affondi sulle rovine dei nuraghi, sulle fortificazioni dell’entroterra e sui resti archeologici antichi di Cagliari, offre peraltro la possibilità di analizzare come, dal report di viaggio, si passi a una lettura del “patrimonio” secondo una trasposizione pedagogica, riportando la traccia della conferenza sulla Sardegna poi tenuta al suo ritorno a Bruxelles. Nell’altro caso si intende scavare nel lascito culturale di Alfredo d’Andrade – pittore, archeologo, architetto restauratore dilettante e poi militante, quale primo direttore di un Ufficio ministeriale per la Conservazione dei Monumenti, fino a membro della Commissione Centrale e poi del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti – attraverso la disamina dei suoi disegni, appunti e materiali fotografici sul patrimonio italiano (con una sezione di inediti riguardanti il viaggio nel Mezzogiorno del 1886 oggi in Galleria d’Arte Moderna di Torino). Tali studi sono da incrociare con le azioni di conoscenza e interpretazione ch’egli promosse nel dialogo con una serie di affermati comprimari, tra cui Corrado Ricci, Adolfo Avena, Camillo Boito e Luca Beltrami. Nel tentativo di attualizzare questi indizi filologici, rilevando quanto la percezione di un coté erudito e di addetti ai lavori abbia inciso sul significato di memoria delle rovine e sulla loro conservazione, il saggio si propone anche di verificare il destino attuale dei siti documentati, per offrire una visione critica sui processi di patrimonializzazione che contribuisca ad affermare il loro ruolo nella complessa costruzione delle “alterità”, anche in ragione di strumenti aggiornati come i piani paesaggistici, e immaginarne la difesa ancora nel futuro, “come invito a sentire il tempo” (Augé). In sintesi, il saggio vuole raccordare, tra passato e presente, la lettura delle strutture materiali con la percezione culturale dello spazio paesaggistico, ieri come oggi socialmente condizionata.

Rovine e paesaggi nella cultura del restauro tra Otto e Novecento. Riflessi dai viaggi di Charles Buls e Alfredo d’Andrade / Naretto, Monica. - In: MATERIALI E STRUTTURE. - ISSN 1121-2373. - STAMPA. - n.s., anno X:20(2021), pp. 81-102.

Rovine e paesaggi nella cultura del restauro tra Otto e Novecento. Riflessi dai viaggi di Charles Buls e Alfredo d’Andrade

NARETTO MONICA
2021

Abstract

L’articolo, inserito nel numero 20/2021 della rivista dedicato a “Rovine e paesaggio”, approfondisce in quale misura la fascinazione per le rovine come elementi del paesaggio storico abbia condotto, dalle ultime decadi del XIX secolo, a una sollecitazione di programmi tesi alla loro salvaguardia e conservazione. La riflessione muove dalla lettura di una serie di documenti, per buona parte inediti, che rappresentano studi sui repertori architettonici in stato di rovina e sulle tracce archeologiche di quello che si potrebbe definire un ideale Tour dell’Italia, compiuto, a fini e in momenti diversi, da due protagonisti del dibattito italiano ed europeo sul restauro. Un primo apporto, da cui trarre tendenze e sensibilità che si traducono su un piano internazionale, si desume dai taccuini autografi di Charles Buls, relativi alle perlustrazioni italiane degli anni 1902-1909. Intrisi di appunti, schizzi, provini fotografici che insistono su temi dal paesaggio al dettaglio materiale, con notazioni interdisciplinari (archeologia, geologia, zoogeografia!) anche sul piano dell’immateriale (toponomastica, etnografia, antropologia, folclore), gli studi sul rapporto inscindibile tra rovine e contesto ambientale sembrano avere influenzato le teorie di Buls sul trattamento dei “monumenti morti” (Cloquet e Buls stesso) e aver contribuito ad ampliare l’orizzonte del restauro dalla dimensione architettonica a quella urbana fino al paesaggio antropizzato, se li rapportiamo al suo ruolo attivo nella ‘Société Nationale pour la protection des sites et des monuments en Belgique’. Il carnet del viaggio in Sardegna del 1909 (Archives de la Ville de Bruxelles), ad oggi sostanzialmente non noto, con affondi sulle rovine dei nuraghi, sulle fortificazioni dell’entroterra e sui resti archeologici antichi di Cagliari, offre peraltro la possibilità di analizzare come, dal report di viaggio, si passi a una lettura del “patrimonio” secondo una trasposizione pedagogica, riportando la traccia della conferenza sulla Sardegna poi tenuta al suo ritorno a Bruxelles. Nell’altro caso si intende scavare nel lascito culturale di Alfredo d’Andrade – pittore, archeologo, architetto restauratore dilettante e poi militante, quale primo direttore di un Ufficio ministeriale per la Conservazione dei Monumenti, fino a membro della Commissione Centrale e poi del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti – attraverso la disamina dei suoi disegni, appunti e materiali fotografici sul patrimonio italiano (con una sezione di inediti riguardanti il viaggio nel Mezzogiorno del 1886 oggi in Galleria d’Arte Moderna di Torino). Tali studi sono da incrociare con le azioni di conoscenza e interpretazione ch’egli promosse nel dialogo con una serie di affermati comprimari, tra cui Corrado Ricci, Adolfo Avena, Camillo Boito e Luca Beltrami. Nel tentativo di attualizzare questi indizi filologici, rilevando quanto la percezione di un coté erudito e di addetti ai lavori abbia inciso sul significato di memoria delle rovine e sulla loro conservazione, il saggio si propone anche di verificare il destino attuale dei siti documentati, per offrire una visione critica sui processi di patrimonializzazione che contribuisca ad affermare il loro ruolo nella complessa costruzione delle “alterità”, anche in ragione di strumenti aggiornati come i piani paesaggistici, e immaginarne la difesa ancora nel futuro, “come invito a sentire il tempo” (Augé). In sintesi, il saggio vuole raccordare, tra passato e presente, la lettura delle strutture materiali con la percezione culturale dello spazio paesaggistico, ieri come oggi socialmente condizionata.
2021
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2954296