A fronte del compimento dell’esplorazione di tutte le terre emerse, le nuove teorie geologiche ed evolutive, in opposizione al creazionismo fissista, segnano il divario tra la ricerca scientifica e la fede religiosa nella cultura inglese del XIX secolo. L’uomo, non più fulcro della Creato, è ora fragile ed effimera comparsa dello scenario naturale della vita. Ruskin nutre una profonda attenzione all’umile osservazione scientifica della natura, in cui tuttavia non cessa di riconoscere l’ordine divino. Nella riproduzione della natura, il rifiuto dell’artificioso pittoresco porta Ruskin a prediligere il lavoro di Turner, capace di cogliere la verità sublime, le impressioni essenziali, l’ordine intrinseco. La rovina ruskiniana, emblema della memoria e dell’abbandono, sembra porsi quale memento mori a riflessione della condizione di oblio dell’uomo dell’età contemporanea, segnata dalla Rivoluzione industriale e dall’incipiente dominio della macchina. Nelle Sette Lampade, Ruskin afferma infatti che l’uomo non può ricordare senza la testimonianza dell’architettura: è in essa che temporalità, memoria e storia trovano massimo sincretismo espressivo, elevandone l’arte al medesimo sistema d’ordine cui appartiene la natura, suo contesto d’eccellenza. Attraverso la lettura degli studi geologici di Ruskin e della pregressa esperienza di Vanbrugh, precursore dell’interesse ottocentesco per i ruderi, il contributo intende dunque porre in luce le strette relazioni tra Ruskin, il paesaggio alpino e l’arte dei giardini inglesi, sostenendo le fonti e le matrici culturali di ambito naturalistico, scientifico e filosofico del suo pensiero estetico, che preludono alle riflessioni strettamente conservative sul tema del restauro dei monumenti.

Conservazione della memoria nell’arte dei giardini e nel paesaggio: la caducità della rovina ruskiniana, metafora dell’uomo contemporaneo / Ferrari, Marco. - In: RESTAURO ARCHEOLOGICO. - ISSN 1724-9686. - STAMPA. - special issue "Unto this Last. Memories on John Ruskin":2(2019), pp. 310-317.

Conservazione della memoria nell’arte dei giardini e nel paesaggio: la caducità della rovina ruskiniana, metafora dell’uomo contemporaneo

Marco Ferrari
2019

Abstract

A fronte del compimento dell’esplorazione di tutte le terre emerse, le nuove teorie geologiche ed evolutive, in opposizione al creazionismo fissista, segnano il divario tra la ricerca scientifica e la fede religiosa nella cultura inglese del XIX secolo. L’uomo, non più fulcro della Creato, è ora fragile ed effimera comparsa dello scenario naturale della vita. Ruskin nutre una profonda attenzione all’umile osservazione scientifica della natura, in cui tuttavia non cessa di riconoscere l’ordine divino. Nella riproduzione della natura, il rifiuto dell’artificioso pittoresco porta Ruskin a prediligere il lavoro di Turner, capace di cogliere la verità sublime, le impressioni essenziali, l’ordine intrinseco. La rovina ruskiniana, emblema della memoria e dell’abbandono, sembra porsi quale memento mori a riflessione della condizione di oblio dell’uomo dell’età contemporanea, segnata dalla Rivoluzione industriale e dall’incipiente dominio della macchina. Nelle Sette Lampade, Ruskin afferma infatti che l’uomo non può ricordare senza la testimonianza dell’architettura: è in essa che temporalità, memoria e storia trovano massimo sincretismo espressivo, elevandone l’arte al medesimo sistema d’ordine cui appartiene la natura, suo contesto d’eccellenza. Attraverso la lettura degli studi geologici di Ruskin e della pregressa esperienza di Vanbrugh, precursore dell’interesse ottocentesco per i ruderi, il contributo intende dunque porre in luce le strette relazioni tra Ruskin, il paesaggio alpino e l’arte dei giardini inglesi, sostenendo le fonti e le matrici culturali di ambito naturalistico, scientifico e filosofico del suo pensiero estetico, che preludono alle riflessioni strettamente conservative sul tema del restauro dei monumenti.
2019
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2784956