L’anti-natalismo è una tesi che può essere articolata in modi diversi. La letteratura su questo argomento è oggi piuttosto ampia (per una raccolta recente, si veda Hauskeller e Hallich 2022). Nella sua formulazione generale e radicale, l’anti-natalismo è la tesi secondo cui la riproduzione è – in tutti i casi – uno svantaggio per chi è messo al mondo perché l’esistenza porta sempre con sé un danno. Ogni vita umana è infatti caratterizzata da momenti di felicità e sofferenza. A chi nasce la vita riserva sempre vantaggi e svantaggi. A differenza dell’esistenza che può procurare piaceri e dolori, la non esistenza è invece caratterizzata da una mancanza di questi. Diversamente da chi viene al mondo, dunque, chi non nasce non può fare esperienza di nessuno svantaggiato che la vita inevitabilmente procura. Per tale ragione, secondo alcuni, questa mancanza non è da considerarsi moralmente un danno. Chi viene al mondo è infatti costretto a sopportare i mali che qualsiasi esistenza genera e in questo la persona messa al mondo subisce un torto perché non si può evitare che la vita di qualcuno sia esente da sofferenze o momenti che creano inevitabilmente dolore. Ne consegue che esistere è sempre peggio di non esistere. Secondo questa prospettiva, dunque, è immorale far nascere nuove persone perché farlo sarebbe sempre negativo per loro. Dato che è sempre peggio essere che non essere (1997, 2006, 2015) e che “venire al mondo è sempre un danno grave”, David Benatar arriva alla conclusione che abbiamo il dovere di non procurare un danno a chi ancora non esiste e dunque abbiamo l’imperativo di non riprodurci. La raccomandazione di Benatar è che la specie umana scelga volontariamente di estinguersi. Risparmiare l’esistenza a chi ancora non è nato(a) è l’unica scelta morale di fatto in grado di evitare la inevitabile sofferenza a cui sarebbero destinate moltissime persone. Se si accettassero le argomentazioni di Benatar e le si mettessero in pratica, cosa accadrebbe? L’attuale generazione di esseri umani sarebbe di fatto l’ultima generazione. Che tipo di obiezione è possibile trovare a questa posizione anti-natalista? È possibile offrire una giustificazione per la scelta di riprodursi? Se sì, quali sono le buone ragioni per riprodursi e quali di queste hanno davvero un peso morale? Far nascere una persona equivale davvero sempre a procurarle un danno? Abbiamo il dovere morale di salvaguardare gli interessi delle generazioni future? Queste e ad altre domande saranno oggetto di questo capitolo.
Antinatalismo e diritti riproduttivi: venire al mondo è sempre un male? / Tripodi, V. - In: La sfida del domani. Filosofia e generazioni future / Andina T., Sacco G.. - STAMPA. - Roma : Castelvecchi, 2025. - ISBN 979-12-5614-641-3. - pp. 113-130
Antinatalismo e diritti riproduttivi: venire al mondo è sempre un male?
Tripodi V.
2025
Abstract
L’anti-natalismo è una tesi che può essere articolata in modi diversi. La letteratura su questo argomento è oggi piuttosto ampia (per una raccolta recente, si veda Hauskeller e Hallich 2022). Nella sua formulazione generale e radicale, l’anti-natalismo è la tesi secondo cui la riproduzione è – in tutti i casi – uno svantaggio per chi è messo al mondo perché l’esistenza porta sempre con sé un danno. Ogni vita umana è infatti caratterizzata da momenti di felicità e sofferenza. A chi nasce la vita riserva sempre vantaggi e svantaggi. A differenza dell’esistenza che può procurare piaceri e dolori, la non esistenza è invece caratterizzata da una mancanza di questi. Diversamente da chi viene al mondo, dunque, chi non nasce non può fare esperienza di nessuno svantaggiato che la vita inevitabilmente procura. Per tale ragione, secondo alcuni, questa mancanza non è da considerarsi moralmente un danno. Chi viene al mondo è infatti costretto a sopportare i mali che qualsiasi esistenza genera e in questo la persona messa al mondo subisce un torto perché non si può evitare che la vita di qualcuno sia esente da sofferenze o momenti che creano inevitabilmente dolore. Ne consegue che esistere è sempre peggio di non esistere. Secondo questa prospettiva, dunque, è immorale far nascere nuove persone perché farlo sarebbe sempre negativo per loro. Dato che è sempre peggio essere che non essere (1997, 2006, 2015) e che “venire al mondo è sempre un danno grave”, David Benatar arriva alla conclusione che abbiamo il dovere di non procurare un danno a chi ancora non esiste e dunque abbiamo l’imperativo di non riprodurci. La raccomandazione di Benatar è che la specie umana scelga volontariamente di estinguersi. Risparmiare l’esistenza a chi ancora non è nato(a) è l’unica scelta morale di fatto in grado di evitare la inevitabile sofferenza a cui sarebbero destinate moltissime persone. Se si accettassero le argomentazioni di Benatar e le si mettessero in pratica, cosa accadrebbe? L’attuale generazione di esseri umani sarebbe di fatto l’ultima generazione. Che tipo di obiezione è possibile trovare a questa posizione anti-natalista? È possibile offrire una giustificazione per la scelta di riprodursi? Se sì, quali sono le buone ragioni per riprodursi e quali di queste hanno davvero un peso morale? Far nascere una persona equivale davvero sempre a procurarle un danno? Abbiamo il dovere morale di salvaguardare gli interessi delle generazioni future? Queste e ad altre domande saranno oggetto di questo capitolo.File | Dimensione | Formato | |
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