L’architettura negli Stati del re di Sardegna: trent’anni e più di cantieri, ricerche, studi e storiografia. Prime riflessioni. Il titolo non è casuale, • sia per il riferimento alla mostra che focalizzava la cultura figurativa e architettonica dal 1773 al 1861 (un periodo che travalica estremi cronologici di questo intervento), • sia per la presenza cogente di cantieri di restauro sul territorio, elementi detonanti per nuove ricerche. • ma anche per il riferimento a ricerche invece basate sull’attività di studio del Politecnico di Torino, e – in generale – • per il riferimento alla storiografia edita che – a valle di questi processi – è scaturita o, a volte, purtroppo, non è scaturita in forma chiara e diretta o non è scaturita per nulla. Il ruolo delle mostre nel fissare capisaldi storiografici non è certamente secondario: sul ‘700 vanno ricordate, fra molte: • quella pionieristica del 1980, appena citata, curata da Marco Rosci ed Enrico Castelnuovo, o aperta a documentare in un monumentale catalogo elementi un tempo considerati “minori” ma utili alla lettura di un periodo, o e ricca di scoperte, come il volume di disegni riguardanti gli appartamenti neoclassici delle residenze di corte), • quelle del 1995 su Filippo Juvarra Architetto delle capitali da Torino a Madrid a cura di Andreina Griseri e Vera Comoli, e del 1999 sui Trionfi del Barocco, a cura di Henry Millon , con Andreina Griseri e Giuseppe Dardanello o due mostre capaci di porre il Barocco e il Tardobarocco sviluppatosi a Torino nella sua rete di relazioni europee, non più secondo una visione di “Barocco Piemontese” ma di “Barocco in Piemonte” - secondo l’accezione da tempo sottolineata da Andreina Griseri - che nulla toglie al valore specifico di quanto avvenuto ma lo colloca giustamente nel suo quadro di riferimento, sradicandolo da un’ottica provinciale • la più recente (2008) su Guarini, Juvarra e Antonelli, a cura di Giuseppe Dardanello e Rosa Tamborrino, intesi come capisaldi di una identità forte del patrimonio culturale in Piemonte • per concludere – facendo un passo indietro - con quella del 2007 su La Reggia di Venaria e i Savoia, ovvero sulla cultura architettonica e figurativa alla corte di Torino tra ‘600 e ‘700 o una mostra che ha segnato la riapertura della residenza, emblema di una fase di grandi restauri e quindi sempre sulla linea di ridonare un volto al DNA del patrimonio culturale in Piemonte e offrirlo al pubblico o ma – in più – sdoganando completamente i committenti di questa stagione, ovvero il ramo principale della dinastia, rimettendo in luce il suo ruolo storico indipendente dai successivi e più recenti sviluppi. • questa mostra ha costituito un momento di eccezionale fusione tra risorse, percorsi di ricerca, scopi diretti quali il restauro e indiretti quali la messa in valore del patrimonio e la comunicazione del suo valore storico e identitario • Ha visto operare un intreccio tra diverse équipes, quelle rivolte allo studio delle fonti per il restauro e quelle rivolte all’allestimento della mostra, spesso grazie alla compresenza di medesime figure • È stata coordinata da un comitato scientifico della mostra che eredita fonde le commissioni di indirizzo e le strutture di monitoraggio e di allestimento del percorso di visita, integrandole con ulteriori competenze, e qui non posso omettere il ricordo di Enrico Castelnuovo e Vera Comoli • E’ stata un punto di arrivo, un momento che, rivisto a posteriori, consente di parlarne con una punta di orgoglio Tuette queste mostre sono state realizzate nella piena relazione, a diverso titolo, con l’Università e il Politecnico. Come docente di quest’ultimo mi preme sottolineare che per un lungo periodo, • pur a fronte di alcune delle mostre, come quella su Juvarra o quella su Francesco Gallo architetto, a cura di Vera Comoli e Laura Palmucci del 2000, o ancora quella citata del 2007, • la ricerca promossa nell’ormai dissolto dipartimento DICAS sia stata direzionata più all’esame del cantiere e della fabbrica che all’architettura in sé. Il distacco da una storiografia “evenemenziale”, attenta alle grandi forme e alle grandi firme, a favore di un’attenzione alle fonti archivistiche, al patrimonio diffuso, ai mestieri e ai saperi, dopo una fase di giusto bilanciamento e di abbandono di facili attribuzionismi ha incominciato ad avvitarsi in una dimensione giocoforza locale, più attenta alle istruzioni di cantiere, alle residenze di corte in sé più che alla lettura dell’architettura. Un approccio che ha condizionato tesi di laurea, tesi di dottorato, assegni di ricerca, la formazione, insomma, delle giovani leve, e la pubblicistica conseguente, pur a fronte, a volte, di risultati fortunatamente meno radicati in questi parametri. Oggi si sta superando questa fase di avvitamento, ritorna l’attenzione ai grandi temi collocati in un quadro internazionale. Spina dorsale della fine degli anni ’80 e degli anni ’90 sono i volumi editi sotto l’egida della Cassa di Risparmio di Torino / Fondazione CRT in cui il Barocco in Piemonte, in arte e architettura, soprattutto per quanto riguarda il ‘600, è stato oggetto di continue riletture attente alle fonti, ai cantieri, ai modelli, alle innovazioni del gusto, al focus sulle province. Un apporto frammentato ma continuo, che ha costituito un tessuto connettivo di riferimento per gli studi di questo settore, in una formula fortemente legata all’Università di Torino per la cura di Giovanni Romano prima, e Giuseppe Dardanello poi. A questo DNA si sono affiancati decine di studi monografici e tematici di singoli studiosi, torinesi, italiani e stranieri che hanno fatto luce su importanti capitoli dell’architettura del periodo o rimesso in luce letture di valore internazionale, come ad esempio: • la riedizione nel 2003, a cura di Giuseppe Dardanello, dello strategico volume di Richard Pommer già pubblicato a New York nel 1967 Eigtheenth Century Architecture in Piedmont • o la riedizione a cura di Edoardo Piccoli (2008) delle Istruzioni Elementari di Bernardo Antonio Vittone, • o, ancora, il volume Filippo Juvarra. Gli anni giovanili di Tommaso Manfredi (2010) uniche e lacunosissime citazioni da un arcipelago vastissimo in questo testo costituito da una serie di “prime riflessioni”. Un capitolo ricco di energie e di formidabili percorsi di ricerca attenti alle fonti - ma non solo - e che avrebbe potuto produrre pagine di nuova storiografia è stato quello delle grandi ricerche attivate in relazione a ormai effettuati (o solo previsti) cantieri di restauro. Logicamente vincolati a una fabbrica, in alcuni casi sono sfociati in risultati editi, come nel caso di Palazzo Madama, con quaderni a cura di Francesca Filippi, Giuseppe Dardanello e altri. Non così è avvenuto per il grande gruppo di storici dell’arte e dell’architettura attivo per anni – su fondi della Compagnia di San Paolo - intorno al Palazzo Reale di Torino, sviscerato in ogni sua piega: • i restauri sono stati parziali e solo “per punti”, tutto il sapere accumulato nei database non ha avuto esito pubblico, pur a fronte di progetti editoriali previsti. Una sorte non del tutto diversa ha avuto il già citato poderoso gruppo di ricerca attivo per il restauro di Venaria Reale: • le ricerche effettuate nel periodo 1998-2007 hanno prodotto un’ingente mole di documentazione, senza che a questo sia seguita – per ora - un’attività editoriale di alto profilo. • (pur creando – bisogna dirlo - un background che ha avuto importanti sbocchi paralleli) • A tutt’oggi, però, il volume “istituzionale” che viene offerto all’acquisto dei visitatori è una guida di taglio giornalistico, pensata – come altre iniziative – solo in termini di un target turistico-popolare, ovviamente necessario ma privo del suo complemento (e fondamento) scientifico. Nonostante questo processo le occasioni di indagine per il cantiere di restauro della residenza hanno cementato un gruppo di ricercatori e gettato le basi per la realizzazione di un Centro Studi in cui storia, storia dell’architettura e storia dell’arte si fondono. L’attività del centro - colmando uno spazio lasciato vuoto dai referenti istituzionali di diretta competenza - ha promosso (oltre a incontri su temi rilevanti e con forti ricadute sull’architettura, come la caccia o la tavola di corte) una serie di convegni monografici su architetti attivi nel ‘600 e nel ‘700 in Piemonte, visti in un’ottica internazionale, su cui non mi voglio dilungare troppo in quanto ne sono direttamente coinvolto. L’attività convegnistica di questo centro, organizzata con il contributo della Bibliotheca Hertziana di Roma e il Politecnico di Torino (dipartimenti DICAS e poi DIST e DAD), ha sperimentato un approccio sinergico che è stato occasione di novità interpretative e ha già prodotto visibili esiti editoriali, una collana in cui emergono le figure di Filippo Juvarra (2014) e Benedetto Alfieri. (2012) In ogni caso, a fronte di un Dottorato in Beni Architettonici e Paesaggistici del Politecnico di Torino frammentato in una molteplicità di discipline anche molto lontane dalla Storia dell’Architettura, e quindi assai debole nell’attrarre candidati in questo campo e nel produrre nuovi studiosi, questa è sembrata una delle strade per uscire dalle secche univoche della ricerca archivistica (peraltro indispensabile) e riaprire gli studi a 360° sugli aspetti complessivi dell’architettura: temi e protagonisti.

L’architettura degli Stati del re di Sardegna: trent’anni e più di cantieri, ricerche, studi e storiografia. Prime riflessioni / Cornaglia, Paolo - In: Gli spazi sabaudi. Percorsi e prospettive della storiografia / Raviola, Blythe Alice; Rosso, Claudio; Varallo, Francesca. - STAMPA. - Roma : Carocci, 2018. - ISBN 978-88-430-8690-0. - pp. 241-247

L’architettura degli Stati del re di Sardegna: trent’anni e più di cantieri, ricerche, studi e storiografia. Prime riflessioni

cornaglia
2018

Abstract

L’architettura negli Stati del re di Sardegna: trent’anni e più di cantieri, ricerche, studi e storiografia. Prime riflessioni. Il titolo non è casuale, • sia per il riferimento alla mostra che focalizzava la cultura figurativa e architettonica dal 1773 al 1861 (un periodo che travalica estremi cronologici di questo intervento), • sia per la presenza cogente di cantieri di restauro sul territorio, elementi detonanti per nuove ricerche. • ma anche per il riferimento a ricerche invece basate sull’attività di studio del Politecnico di Torino, e – in generale – • per il riferimento alla storiografia edita che – a valle di questi processi – è scaturita o, a volte, purtroppo, non è scaturita in forma chiara e diretta o non è scaturita per nulla. Il ruolo delle mostre nel fissare capisaldi storiografici non è certamente secondario: sul ‘700 vanno ricordate, fra molte: • quella pionieristica del 1980, appena citata, curata da Marco Rosci ed Enrico Castelnuovo, o aperta a documentare in un monumentale catalogo elementi un tempo considerati “minori” ma utili alla lettura di un periodo, o e ricca di scoperte, come il volume di disegni riguardanti gli appartamenti neoclassici delle residenze di corte), • quelle del 1995 su Filippo Juvarra Architetto delle capitali da Torino a Madrid a cura di Andreina Griseri e Vera Comoli, e del 1999 sui Trionfi del Barocco, a cura di Henry Millon , con Andreina Griseri e Giuseppe Dardanello o due mostre capaci di porre il Barocco e il Tardobarocco sviluppatosi a Torino nella sua rete di relazioni europee, non più secondo una visione di “Barocco Piemontese” ma di “Barocco in Piemonte” - secondo l’accezione da tempo sottolineata da Andreina Griseri - che nulla toglie al valore specifico di quanto avvenuto ma lo colloca giustamente nel suo quadro di riferimento, sradicandolo da un’ottica provinciale • la più recente (2008) su Guarini, Juvarra e Antonelli, a cura di Giuseppe Dardanello e Rosa Tamborrino, intesi come capisaldi di una identità forte del patrimonio culturale in Piemonte • per concludere – facendo un passo indietro - con quella del 2007 su La Reggia di Venaria e i Savoia, ovvero sulla cultura architettonica e figurativa alla corte di Torino tra ‘600 e ‘700 o una mostra che ha segnato la riapertura della residenza, emblema di una fase di grandi restauri e quindi sempre sulla linea di ridonare un volto al DNA del patrimonio culturale in Piemonte e offrirlo al pubblico o ma – in più – sdoganando completamente i committenti di questa stagione, ovvero il ramo principale della dinastia, rimettendo in luce il suo ruolo storico indipendente dai successivi e più recenti sviluppi. • questa mostra ha costituito un momento di eccezionale fusione tra risorse, percorsi di ricerca, scopi diretti quali il restauro e indiretti quali la messa in valore del patrimonio e la comunicazione del suo valore storico e identitario • Ha visto operare un intreccio tra diverse équipes, quelle rivolte allo studio delle fonti per il restauro e quelle rivolte all’allestimento della mostra, spesso grazie alla compresenza di medesime figure • È stata coordinata da un comitato scientifico della mostra che eredita fonde le commissioni di indirizzo e le strutture di monitoraggio e di allestimento del percorso di visita, integrandole con ulteriori competenze, e qui non posso omettere il ricordo di Enrico Castelnuovo e Vera Comoli • E’ stata un punto di arrivo, un momento che, rivisto a posteriori, consente di parlarne con una punta di orgoglio Tuette queste mostre sono state realizzate nella piena relazione, a diverso titolo, con l’Università e il Politecnico. Come docente di quest’ultimo mi preme sottolineare che per un lungo periodo, • pur a fronte di alcune delle mostre, come quella su Juvarra o quella su Francesco Gallo architetto, a cura di Vera Comoli e Laura Palmucci del 2000, o ancora quella citata del 2007, • la ricerca promossa nell’ormai dissolto dipartimento DICAS sia stata direzionata più all’esame del cantiere e della fabbrica che all’architettura in sé. Il distacco da una storiografia “evenemenziale”, attenta alle grandi forme e alle grandi firme, a favore di un’attenzione alle fonti archivistiche, al patrimonio diffuso, ai mestieri e ai saperi, dopo una fase di giusto bilanciamento e di abbandono di facili attribuzionismi ha incominciato ad avvitarsi in una dimensione giocoforza locale, più attenta alle istruzioni di cantiere, alle residenze di corte in sé più che alla lettura dell’architettura. Un approccio che ha condizionato tesi di laurea, tesi di dottorato, assegni di ricerca, la formazione, insomma, delle giovani leve, e la pubblicistica conseguente, pur a fronte, a volte, di risultati fortunatamente meno radicati in questi parametri. Oggi si sta superando questa fase di avvitamento, ritorna l’attenzione ai grandi temi collocati in un quadro internazionale. Spina dorsale della fine degli anni ’80 e degli anni ’90 sono i volumi editi sotto l’egida della Cassa di Risparmio di Torino / Fondazione CRT in cui il Barocco in Piemonte, in arte e architettura, soprattutto per quanto riguarda il ‘600, è stato oggetto di continue riletture attente alle fonti, ai cantieri, ai modelli, alle innovazioni del gusto, al focus sulle province. Un apporto frammentato ma continuo, che ha costituito un tessuto connettivo di riferimento per gli studi di questo settore, in una formula fortemente legata all’Università di Torino per la cura di Giovanni Romano prima, e Giuseppe Dardanello poi. A questo DNA si sono affiancati decine di studi monografici e tematici di singoli studiosi, torinesi, italiani e stranieri che hanno fatto luce su importanti capitoli dell’architettura del periodo o rimesso in luce letture di valore internazionale, come ad esempio: • la riedizione nel 2003, a cura di Giuseppe Dardanello, dello strategico volume di Richard Pommer già pubblicato a New York nel 1967 Eigtheenth Century Architecture in Piedmont • o la riedizione a cura di Edoardo Piccoli (2008) delle Istruzioni Elementari di Bernardo Antonio Vittone, • o, ancora, il volume Filippo Juvarra. Gli anni giovanili di Tommaso Manfredi (2010) uniche e lacunosissime citazioni da un arcipelago vastissimo in questo testo costituito da una serie di “prime riflessioni”. Un capitolo ricco di energie e di formidabili percorsi di ricerca attenti alle fonti - ma non solo - e che avrebbe potuto produrre pagine di nuova storiografia è stato quello delle grandi ricerche attivate in relazione a ormai effettuati (o solo previsti) cantieri di restauro. Logicamente vincolati a una fabbrica, in alcuni casi sono sfociati in risultati editi, come nel caso di Palazzo Madama, con quaderni a cura di Francesca Filippi, Giuseppe Dardanello e altri. Non così è avvenuto per il grande gruppo di storici dell’arte e dell’architettura attivo per anni – su fondi della Compagnia di San Paolo - intorno al Palazzo Reale di Torino, sviscerato in ogni sua piega: • i restauri sono stati parziali e solo “per punti”, tutto il sapere accumulato nei database non ha avuto esito pubblico, pur a fronte di progetti editoriali previsti. Una sorte non del tutto diversa ha avuto il già citato poderoso gruppo di ricerca attivo per il restauro di Venaria Reale: • le ricerche effettuate nel periodo 1998-2007 hanno prodotto un’ingente mole di documentazione, senza che a questo sia seguita – per ora - un’attività editoriale di alto profilo. • (pur creando – bisogna dirlo - un background che ha avuto importanti sbocchi paralleli) • A tutt’oggi, però, il volume “istituzionale” che viene offerto all’acquisto dei visitatori è una guida di taglio giornalistico, pensata – come altre iniziative – solo in termini di un target turistico-popolare, ovviamente necessario ma privo del suo complemento (e fondamento) scientifico. Nonostante questo processo le occasioni di indagine per il cantiere di restauro della residenza hanno cementato un gruppo di ricercatori e gettato le basi per la realizzazione di un Centro Studi in cui storia, storia dell’architettura e storia dell’arte si fondono. L’attività del centro - colmando uno spazio lasciato vuoto dai referenti istituzionali di diretta competenza - ha promosso (oltre a incontri su temi rilevanti e con forti ricadute sull’architettura, come la caccia o la tavola di corte) una serie di convegni monografici su architetti attivi nel ‘600 e nel ‘700 in Piemonte, visti in un’ottica internazionale, su cui non mi voglio dilungare troppo in quanto ne sono direttamente coinvolto. L’attività convegnistica di questo centro, organizzata con il contributo della Bibliotheca Hertziana di Roma e il Politecnico di Torino (dipartimenti DICAS e poi DIST e DAD), ha sperimentato un approccio sinergico che è stato occasione di novità interpretative e ha già prodotto visibili esiti editoriali, una collana in cui emergono le figure di Filippo Juvarra (2014) e Benedetto Alfieri. (2012) In ogni caso, a fronte di un Dottorato in Beni Architettonici e Paesaggistici del Politecnico di Torino frammentato in una molteplicità di discipline anche molto lontane dalla Storia dell’Architettura, e quindi assai debole nell’attrarre candidati in questo campo e nel produrre nuovi studiosi, questa è sembrata una delle strade per uscire dalle secche univoche della ricerca archivistica (peraltro indispensabile) e riaprire gli studi a 360° sugli aspetti complessivi dell’architettura: temi e protagonisti.
2018
978-88-430-8690-0
Gli spazi sabaudi. Percorsi e prospettive della storiografia
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