Questa tesi è strutturata in 5 capitoli e un’appendice costituita da due testi inediti. L’obiettivo è di analizzare la natura, il ruolo e lo scopo che la teoria filosofica francese strutturalista e post-strutturalista ha avuto nel discorso architettonico statunitense. La periodizzazione entro cui quest’analisi è compresa va dal 1967 , anno in cui inizia il processo d’istituzionalizzazione e problematizzazione dello strutturalismo, anno successivo a quello in cui si pubblicarono testi fondamentali di Lacan, Barthes e Foucault e in cui ebbe luogo la conferenza alla Johns Hopkins University, ma anno anche della traduzione inglese, passata inosservata, di La pensée sauvage di Lévi-Strauss, del numero monografico 36/37 di «Yale French Studies» sullo strutturalismo e della pubblicazione di Complexity and Contradiction in Architecture e di Venturi e L’architettura della città di Rossi, e il 1988, anno della mostra «Deconstructivist Architecture» al MOMA, epilogo, nella forma di una consacrazione, di un percorso teorico, critico e progettuale. Molte sono state le modalità di ricezione, sviluppo e diffusione di un così radicale confronto nel discorso disciplinare; la scelta è ricaduta principalmente, ma non esclusivamente, sul dibattito avvenuto attraverso testi apparsi sui periodici: come sismografi essi sono stati luoghi di ricerca, produzione, accoglienza, condivisione, recensione, critica militante così intensa che raramente si è assistito a una loro attività così fitta, vivace e feconda da potersi considerare come il persistente stato della disciplina. Il Capitolo 1 è costituito da un’introduzione metodologica, organizzata come un’analisi preliminare delle teorie, dei metodi e dei concetti che lo strutturalismo e il post-strutturalismo offrono nell’organizzazione e nello sviluppo della critica architettonica statunitense, dei rapporti che intrattengono con la storiografia, con la semiotica, nell’opposizione tra diacronia e sincronia, con la progressiva problematizzazone e messa in crisi del contenuto stesso del multiforme concetto di struttura. Il Capitolo 2 definisce come in ambito statunitense la ricerca tesa all’individuazione di elementi caratteristici della propria architettura e delle relative basi teoriche avvenga tra il tentativo di definirla come un derivato stilistico del Movimento Moderno europeo e un autonomo scenario culturale fondato su uno specifico funzionalismo. Tale fase di crisi disciplinare, apertasi durante la seconda metà degli anni cinquanta, porterà nei successivi primi anni sessanta alla composizione di quel contesto culturale di natura formalista che è la condizione per la ricezione dello strutturalismo. Prendendo in esame il caso-studio del New Jersey Corridor Project, si mostra come questo sia il catalizzatore attorno cui si organizzano alcune delle figura che saranno protagoniste negli anni successivi e come esso costituisca l’occasione per la nascita dell’Institute for Architecture and Urban Studies (IAUS) e della sua rivista «Oppositions», principale strumento statunitense per la ricezione delle teorie critico/architettoniche europee. Inoltre si analizza come, tra il 1965 e il 1970, negli Stati Uniti la nascita di una critica dell’architettura fondata sullo strutturalismo e sulla linguistica francese come nuovo modello epistemologico sia ancora in aperto contatto con la scena critica britannica. Particolare attenzione viene rivolta alle retoriche attraverso le quali tale confronto è via via declinato nella formazione del confronto dialettico fondato sull’opposizione tra semantica e sintattica. Il Capitolo 3 passa in rassegna, dopo le aperte critiche di Rowe, il fitto apparato critico di Agrest e Gandelsonas sulla Conceptual Architecture di Eisenman, un manifesto costituito a partire da concetti di derivazione linguistica, tentativo di fondare una teoria dell’oggetto architettonico che abbia la sintassi come sua unica origine e valore. Contemporaneamente, attraverso un’articolata serie di testi, Agrest e Gandelsonas introducono il marxismo di Althusser e il criticismo di Barthes nel dibattito architettonico statunitense, da cui si può far risalire l’inizio dell’epilogo della Conceptual Architecture come teoria razionale dell’architettura. Il Capitolo 4 descrive come il post-strutturalismo arrivi negli Stati Uniti anche grazie a mediazioni italiane: indirettamente attraverso la figura di Eco, con la presenza di Agrest e Gandelsonas (che per primi leggeranno negli Stati Uniti i testi di Tafuri, prima delle loro traduzioni) all’International Association for Semiotic Studies (IASS) del 1974 e più direttamente con gli articoli di Tafuri pubblicati negli Stati Uniti dal 1972 al 1976 e con la pubblicazione dell’edizione statunitense di Progetto e utopia. Il Capitolo 5 descrive come la presenza di Derrida e del suo post-strutturalismo racconti un’esperienza apparentemente autonoma, qui esaminata attraverso l’analisi prima dei testi propedeutici in cui, tra il 1984 e il 1985, il filosofo francese si rivolge direttamente all’architettura, e successivamente dell’attività svolta nel noto caso-studio del progetto per il Parc de la Villette, che lo vede impegnato con Eisenman a partire dall’autunno del 1985, nella conferma del suo duplice interesse nei confronti di un’architettonica della metafisica e di un’architettura dell’evento come luogo della decostruzione. L’Appendice è costituita da due testi inediti, uno di Rosalind Krauss (1988) e uno di Jacques Derrida (1992), che fungono da veri e propri epiloghi della lunga vicenda che riguarda il post-strutturalismo applicato all’architettura. Sono due testi scritti in funzione della stessa mostra del 1988, «Deconstructivist Architecture»: il primo racconta dell’intervento della Krauss al dibattito organizzato pochi giorni dopo l’inaugurazione, così critico da definire come velleitaria ogni pretesa decostruttiva dei progetti esposti (e di avere forse così consacrato ai loro prossimi destini colmi di successi gli architetti presenti, a tre dei quali, negli anni successivi, verrà assegnato uno dei principali premi d’architettura, il Pritzker Architecture Prize: Frank Gehry, Rem Koohlaas, Zaha Hadid); il secondo è un dialogo tra Derrida e Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky di Coop Himmelb(l)au, con la moderazione di Regina Haslinger, in cui vengono approfondite alcune delle problematiche questioni riguardo al decostruttivismo già esposte nella lettera indirizzata a Eisenman nel 1989; racconta, inoltre, dell’assenza di qualsiasi riferimento a Derrida, e soprattutto alla sua filosofia, sia nella mostra che nel suo catalogo: inutile dire che Derrida lo si nota di più se non viene citato (entrambi i documenti sono qui riprodotti grazie al consenso di Rosalind Krauss e Marguerite Derrida, la loro pubblicazione e traduzione è consentita esclusivamente per questa tesi). La bibliografia è parte integrante di questo lavoro: la selezione della maggior parte dei testi, infatti, è avvenuta durante le ricerche effettuate presso la Ave-ry Library di Columbia University e la Frances Loeb Library di Harvard, molti di essi sono poco noti, non solo in Italia, quasi nessuno tradotto.

La testualizzazione dell’architettura. Strutturalismo e architettura negli Stati Uniti (1967-1988) / Canclini, Andrea. - (2017).

La testualizzazione dell’architettura. Strutturalismo e architettura negli Stati Uniti (1967-1988)

CANCLINI, ANDREA
2017

Abstract

Questa tesi è strutturata in 5 capitoli e un’appendice costituita da due testi inediti. L’obiettivo è di analizzare la natura, il ruolo e lo scopo che la teoria filosofica francese strutturalista e post-strutturalista ha avuto nel discorso architettonico statunitense. La periodizzazione entro cui quest’analisi è compresa va dal 1967 , anno in cui inizia il processo d’istituzionalizzazione e problematizzazione dello strutturalismo, anno successivo a quello in cui si pubblicarono testi fondamentali di Lacan, Barthes e Foucault e in cui ebbe luogo la conferenza alla Johns Hopkins University, ma anno anche della traduzione inglese, passata inosservata, di La pensée sauvage di Lévi-Strauss, del numero monografico 36/37 di «Yale French Studies» sullo strutturalismo e della pubblicazione di Complexity and Contradiction in Architecture e di Venturi e L’architettura della città di Rossi, e il 1988, anno della mostra «Deconstructivist Architecture» al MOMA, epilogo, nella forma di una consacrazione, di un percorso teorico, critico e progettuale. Molte sono state le modalità di ricezione, sviluppo e diffusione di un così radicale confronto nel discorso disciplinare; la scelta è ricaduta principalmente, ma non esclusivamente, sul dibattito avvenuto attraverso testi apparsi sui periodici: come sismografi essi sono stati luoghi di ricerca, produzione, accoglienza, condivisione, recensione, critica militante così intensa che raramente si è assistito a una loro attività così fitta, vivace e feconda da potersi considerare come il persistente stato della disciplina. Il Capitolo 1 è costituito da un’introduzione metodologica, organizzata come un’analisi preliminare delle teorie, dei metodi e dei concetti che lo strutturalismo e il post-strutturalismo offrono nell’organizzazione e nello sviluppo della critica architettonica statunitense, dei rapporti che intrattengono con la storiografia, con la semiotica, nell’opposizione tra diacronia e sincronia, con la progressiva problematizzazone e messa in crisi del contenuto stesso del multiforme concetto di struttura. Il Capitolo 2 definisce come in ambito statunitense la ricerca tesa all’individuazione di elementi caratteristici della propria architettura e delle relative basi teoriche avvenga tra il tentativo di definirla come un derivato stilistico del Movimento Moderno europeo e un autonomo scenario culturale fondato su uno specifico funzionalismo. Tale fase di crisi disciplinare, apertasi durante la seconda metà degli anni cinquanta, porterà nei successivi primi anni sessanta alla composizione di quel contesto culturale di natura formalista che è la condizione per la ricezione dello strutturalismo. Prendendo in esame il caso-studio del New Jersey Corridor Project, si mostra come questo sia il catalizzatore attorno cui si organizzano alcune delle figura che saranno protagoniste negli anni successivi e come esso costituisca l’occasione per la nascita dell’Institute for Architecture and Urban Studies (IAUS) e della sua rivista «Oppositions», principale strumento statunitense per la ricezione delle teorie critico/architettoniche europee. Inoltre si analizza come, tra il 1965 e il 1970, negli Stati Uniti la nascita di una critica dell’architettura fondata sullo strutturalismo e sulla linguistica francese come nuovo modello epistemologico sia ancora in aperto contatto con la scena critica britannica. Particolare attenzione viene rivolta alle retoriche attraverso le quali tale confronto è via via declinato nella formazione del confronto dialettico fondato sull’opposizione tra semantica e sintattica. Il Capitolo 3 passa in rassegna, dopo le aperte critiche di Rowe, il fitto apparato critico di Agrest e Gandelsonas sulla Conceptual Architecture di Eisenman, un manifesto costituito a partire da concetti di derivazione linguistica, tentativo di fondare una teoria dell’oggetto architettonico che abbia la sintassi come sua unica origine e valore. Contemporaneamente, attraverso un’articolata serie di testi, Agrest e Gandelsonas introducono il marxismo di Althusser e il criticismo di Barthes nel dibattito architettonico statunitense, da cui si può far risalire l’inizio dell’epilogo della Conceptual Architecture come teoria razionale dell’architettura. Il Capitolo 4 descrive come il post-strutturalismo arrivi negli Stati Uniti anche grazie a mediazioni italiane: indirettamente attraverso la figura di Eco, con la presenza di Agrest e Gandelsonas (che per primi leggeranno negli Stati Uniti i testi di Tafuri, prima delle loro traduzioni) all’International Association for Semiotic Studies (IASS) del 1974 e più direttamente con gli articoli di Tafuri pubblicati negli Stati Uniti dal 1972 al 1976 e con la pubblicazione dell’edizione statunitense di Progetto e utopia. Il Capitolo 5 descrive come la presenza di Derrida e del suo post-strutturalismo racconti un’esperienza apparentemente autonoma, qui esaminata attraverso l’analisi prima dei testi propedeutici in cui, tra il 1984 e il 1985, il filosofo francese si rivolge direttamente all’architettura, e successivamente dell’attività svolta nel noto caso-studio del progetto per il Parc de la Villette, che lo vede impegnato con Eisenman a partire dall’autunno del 1985, nella conferma del suo duplice interesse nei confronti di un’architettonica della metafisica e di un’architettura dell’evento come luogo della decostruzione. L’Appendice è costituita da due testi inediti, uno di Rosalind Krauss (1988) e uno di Jacques Derrida (1992), che fungono da veri e propri epiloghi della lunga vicenda che riguarda il post-strutturalismo applicato all’architettura. Sono due testi scritti in funzione della stessa mostra del 1988, «Deconstructivist Architecture»: il primo racconta dell’intervento della Krauss al dibattito organizzato pochi giorni dopo l’inaugurazione, così critico da definire come velleitaria ogni pretesa decostruttiva dei progetti esposti (e di avere forse così consacrato ai loro prossimi destini colmi di successi gli architetti presenti, a tre dei quali, negli anni successivi, verrà assegnato uno dei principali premi d’architettura, il Pritzker Architecture Prize: Frank Gehry, Rem Koohlaas, Zaha Hadid); il secondo è un dialogo tra Derrida e Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky di Coop Himmelb(l)au, con la moderazione di Regina Haslinger, in cui vengono approfondite alcune delle problematiche questioni riguardo al decostruttivismo già esposte nella lettera indirizzata a Eisenman nel 1989; racconta, inoltre, dell’assenza di qualsiasi riferimento a Derrida, e soprattutto alla sua filosofia, sia nella mostra che nel suo catalogo: inutile dire che Derrida lo si nota di più se non viene citato (entrambi i documenti sono qui riprodotti grazie al consenso di Rosalind Krauss e Marguerite Derrida, la loro pubblicazione e traduzione è consentita esclusivamente per questa tesi). La bibliografia è parte integrante di questo lavoro: la selezione della maggior parte dei testi, infatti, è avvenuta durante le ricerche effettuate presso la Ave-ry Library di Columbia University e la Frances Loeb Library di Harvard, molti di essi sono poco noti, non solo in Italia, quasi nessuno tradotto.
2017
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2686246
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