L’idea di Gesamtkunstwerk e la cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra. Nel 1953 Ernesto Nathan Rogers assume la direzione della rivista «Casabella» e, con un gesto tutt’altro che simbolico, ne cambia il titolo in «Casabella-continuità», dando l’avvio in Italia a un processo di revisione del Moderno che, contro slogan e schematismi ideologici, fonda la ricerca architettonica sul «senso della storia» e sul «mondo della vita». Una vera e propria rivoluzione culturale e pedagogica, che vede il progetto di architettura come momento conoscitivo, aperto all’esperienza del presente ma saldamente ancorato alla memoria del passato, attento alla qualità estetica non meno che alla dimensione etica, al valore civile delle opere di architettura. Non è un caso che alla redazione collaborino, prima che storici e critici dell’architettura, quei giovani architetti (tra cui Vittorio Gregotti, Aldo Rossi e Giorgio Grassi) che di lì a poco tradurranno il suo insegnamento in un pensiero originale e consapevole rivolto insieme alla teoria e alla pratica dell’architettura. Nell’arco di pochi mesi, tra il dicembre del 1959 e il giugno del 1960, escono tre numeri monografici, dedicati a Adolf Loos (233/novembre 1959), Henry van de Velde (237/marzo 1960) e Peter Behrens (240/dicembre 1960). Non si tratta di pubblicazioni celebrative né del tentativo di riscattare figure scomode o dimenticate, ma dell’inizio di una riflessione tesa a scardinare i luoghi comuni della critica “ufficiale” a favore di una visione aperta e progressiva della modernità, che, nel segno della continuità, cerca non «maestri» – dice Rogers – ma «padri fondatori». A partire da queste pubblicazioni, il presente contributo si propone di analizzare il significato del lavoro di questi «padri» all’interno del dibattito italiano degli anni Sessanta e Settanta e di riportarlo, nella misura del possibile, all’attualità, come materia viva per il progetto contemporaneo. Come scrive Rogers nel suo editoriale del marzo 1960: «(…) nessuna commemorazione sarebbe stata più gradita a Henry van de Velde quanto quella di farlo sentire come una presenza: non come qualcosa che si è chiuso, ma come qualcosa che continua e si perpetua, trasformandosi in noi. Come ciò che inspiriamo ed espiriamo, accettiamo e rifiutiamo per favorire le mutazioni della nostra vita e produrre, con le energie acquisite, nuovo lavoro».

The notion of the Total Work of Art and Italian Building Culture after World War II / Malcovati, Silvia - In: The Death and the Life of the Total Work of Art. Henry van de Velde and the Legacy of a Modern Concept / Carsten Ruhl, Chris Dähne, Rixt Hoekstra. - STAMPA. - Berlino : Jovis Verlag, 2015. - ISBN 978-3-86859-261-0. - pp. 164-178

The notion of the Total Work of Art and Italian Building Culture after World War II

MALCOVATI, SILVIA
2015

Abstract

L’idea di Gesamtkunstwerk e la cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra. Nel 1953 Ernesto Nathan Rogers assume la direzione della rivista «Casabella» e, con un gesto tutt’altro che simbolico, ne cambia il titolo in «Casabella-continuità», dando l’avvio in Italia a un processo di revisione del Moderno che, contro slogan e schematismi ideologici, fonda la ricerca architettonica sul «senso della storia» e sul «mondo della vita». Una vera e propria rivoluzione culturale e pedagogica, che vede il progetto di architettura come momento conoscitivo, aperto all’esperienza del presente ma saldamente ancorato alla memoria del passato, attento alla qualità estetica non meno che alla dimensione etica, al valore civile delle opere di architettura. Non è un caso che alla redazione collaborino, prima che storici e critici dell’architettura, quei giovani architetti (tra cui Vittorio Gregotti, Aldo Rossi e Giorgio Grassi) che di lì a poco tradurranno il suo insegnamento in un pensiero originale e consapevole rivolto insieme alla teoria e alla pratica dell’architettura. Nell’arco di pochi mesi, tra il dicembre del 1959 e il giugno del 1960, escono tre numeri monografici, dedicati a Adolf Loos (233/novembre 1959), Henry van de Velde (237/marzo 1960) e Peter Behrens (240/dicembre 1960). Non si tratta di pubblicazioni celebrative né del tentativo di riscattare figure scomode o dimenticate, ma dell’inizio di una riflessione tesa a scardinare i luoghi comuni della critica “ufficiale” a favore di una visione aperta e progressiva della modernità, che, nel segno della continuità, cerca non «maestri» – dice Rogers – ma «padri fondatori». A partire da queste pubblicazioni, il presente contributo si propone di analizzare il significato del lavoro di questi «padri» all’interno del dibattito italiano degli anni Sessanta e Settanta e di riportarlo, nella misura del possibile, all’attualità, come materia viva per il progetto contemporaneo. Come scrive Rogers nel suo editoriale del marzo 1960: «(…) nessuna commemorazione sarebbe stata più gradita a Henry van de Velde quanto quella di farlo sentire come una presenza: non come qualcosa che si è chiuso, ma come qualcosa che continua e si perpetua, trasformandosi in noi. Come ciò che inspiriamo ed espiriamo, accettiamo e rifiutiamo per favorire le mutazioni della nostra vita e produrre, con le energie acquisite, nuovo lavoro».
2015
978-3-86859-261-0
The Death and the Life of the Total Work of Art. Henry van de Velde and the Legacy of a Modern Concept
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