La vicenda del trasferimento della capitale del regno d’Italia da Torino a Firenze è nota e non mancano importanti studi di riferimento sugli aspetti storico-politici e amministrativi di questo delicato passaggio. Meno indagate risultano alcune questioni più propriamente tecniche, di carattere urbanistico e soprattutto architettonico: in questo ambito la letteratura approfondisce il tema dell’ingrandimento della città scelta provvisoriamente come capitale, ossia Firenze, e dei nuovi significati che Torino, ormai ex-capitale, tenta più o meno consapevolmente di assumere, mentre sfiora soltanto il problema della scelta delle sedi per l’apparato burocratico. La ricerca di dottorato colma, in maniera innovativa, tale vuoto perché, a partire dal trasferimento delle sedi governative da Torino e a Firenze, si pone l’obiettivo di rintracciare il dibattito culturale da esso generato. In questi stessi anni iniziano infatti a delinearsi specifiche politiche per i beni culturali, chiamate a superare i localismi pre-unitari per elaborare un quadro di tutela nazionale: le differenti logiche di intervento, in un’alternanza tra prerogative locali e governative spesso in disaccordo, scatenano vivaci discussioni facilmente ripercorribili attraverso la pubblicistica del tempo e gli sberleffi offerti dalla satira, ricca di vignette sul tema, che raccoglie gli umori dell’opinione pubblica e offre una prospettiva sul senso di un disorientamento diffuso tra i cittadini. Il trasferimento, fortemente intriso di provvisorietà, si presta quindi ad essere un interessante caso studio, una sorta di banco di prova per comprendere quali siano state le difficoltà di trovare un sottile equilibrio tra le strategie di tutela per gli edifici messi a disposizione, tutti di grande valore storico e architettonico, e le necessarie modifiche per le nuove destinazioni d’uso. Un equilibrio reso ancora più precario se messo a confronto con la stretta tempistica delle operazioni di trasloco di mezzi, documenti e uomini. Nell’ottobre del 1864 è stabilito che le operazioni dovranno attuarsi nel più breve tempo possibile e comunque a partire dal maggio dell’anno successivo. In pochi mesi occorre quindi provvedere alla sistemazione di tutte le sedi fiorentine, lasciando uno strascico di ulteriore incertezza circa il destino di quelle torinesi, abbandonate in fretta e furia. Esistono attenzioni e criteri specifici per riconvertire le sedi ministeriali a nuovi impieghi? Certamente le disposizioni sulla soppressione dei conventi e le leggi sull’esproprio giocano un ruolo di primo piano, qui analizzato criticamente e posto a confronto con le moderne teorie sul restauro che proprio in questi stessi anni si dibattono con vivacità. Il tema della provvisorietà accompagna quindi costantemente gli eventi e suggerisce di ricostruire le vicende in una prospettiva storica più ampia, che travalica i primi anni di unità nazionale e giunge al passato recente: nel momento in cui i ministeri trovano una sistemazione nella città di Roma, la celeberrima ‘terza Roma’ destinata ad assumere il ruolo di capitale definitiva del regno d’Italia, vanno identificate nuove destinazioni d’uso negli edifici torinesi e fiorentini. Possono essere individuate logiche comuni tra le due città apparentemente chiuse ad ogni confronto tra loro? L’aspra dialettica tra le esigenze governative e gli obiettivi municipali non determina più ora il prevalere delle istanze del governo centrale, ma si configura in una netta vittoria da parte delle due città. Torino e Firenze sono consapevoli dei vincoli rappresentati dalla normativa statale, soprattutto quella in via di definizione riferita ai beni culturali e, facendo presa sulla sua debolezza e fragilità, individuano con astuzia le pieghe attraverso le quali far emergere le loro specifiche esigenze, anche in chiave di risarcimento per il periodo in cui sono state messe a disposizione della macchina statale. La tesi è organizzata in un primo capitolo dedicato all’inquadramento normativo riferito ai ‘monumenti’, oggi diremmo beni culturali, nel periodo pre e post unitario: il servizio di tutela, assai disomogeneo nelle varie realtà locali, cerca con difficoltà di proporsi in una prospettiva nazionale. Il percorso tracciato, com’è noto, evidenzia importanti criticità che perdurano per molto tempo e non possono essere trascurate nella ricostruzione delle scelte politiche attuate durante il trasferimento della capitale. Per comprendere la complessità di tali operazioni, è stato necessario identificare la ‘consistenza’ di una macchina burocratica così complessa. L’organizzazione amministrativa nei vari uffici ministeriali cambia anche considerevolmente in funzione del peso politico assunto da ciascun ministero, e le differenze in termini di competenze, unità e numero di uffici si traducono in spazi architettonici più o meno ampi, collocati in edifici di proprietà statale dall’alto valore rappresentativo oppure relegati in stabili anonimi e regolati da contratti di affitto. Per organizzare il consistente materiale di studio in modo chiaro ed esaustivo, è stato scelto lo strumento della schedatura delle sedi ministeriali torinesi e fiorentine, che occupa i capitoli centrali del lavoro. L’indagine è stata condotta facendo un costante riferimento alle fonti bibliografiche e documentarie, queste ultime conservate sia presso gli archivi storici della città di Torino e di Firenze, sia presso gli archivi di Stato di Torino, Firenze e Roma, in modo da privilegiare il costante confronto tra la dimensione municipale e quella centrale. Le voci di schedatura delineano in sintesi i caratteri storici e architettonici di ciascun edificio, mentre approfondiscono maggiormente l’ambito cronologico riferito alle esigenze governative e locali sino ai più recenti cambiamenti: l’analisi quindi supera lo studio delle sue peculiarità artistiche, del resto già presenti in molte pubblicazioni indicate in una bibliografia specifica, allo scopo di intrecciare inediti rapporti tra il singolo stabile e le vicende risorgimentali e post risorgimentali, in una chiave di lettura innovativa. Incrociando i dati desunti dalle schede, interpretati anche sulla base del sistema normativo sui beni culturali di inizio Novecento, si è giunti alla stesura del capitolo conclusivo che individua per le sedi ministeriali ormai dismesse cinque famiglie in base alla funzione che le accomuna: didattica, militare, culturale, amministrativa e residenziale. L’indagine cercherà di capire se è possibile cogliere una logica comune di recupero e riutilizzo degli edifici, che diventano chiara espressione della volontà di trasmettere una serie di valori omogenei, nel solco del difficile percorso verso l’acquisizione di una solida identità nazionale. I complessi architettonici sottoposti all’indagine sono stati l’espressione di un continuo cambiamento d’uso, quasi destinato a non avere mai fine. Possibile che le scelte operate siano state dettate soltanto da fortuite contingenze e da singole occasioni d’uso? Poco probabile. L’approfondimento critico dello studio attraverso l’indispensabile confronto con il coevo piano normativo dedicato ai beni culturali, inserito volutamente all’inizio e alla fine della stesura della tesi, ha permesso di cogliere alcuni atteggiamenti comuni alle due città, forse non sempre consapevoli, che testimoniano una chiara espressione di attenzione ad un bisogno di volta in volta collettivo o municipale. E’ stato possibile dimostrare che l’identità nazionale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è stata costruita, varrebbe la pena dire strutturata, soprattutto tentando di rispondere a queste esigenze: istruire i cittadini, rafforzare la memoria collettiva e garantire l’unità tanto amministrativa quanto militare, a fondamento di un sentire comune che, almeno nelle intenzioni dei diversi attori politici e amministrativi, presto avrebbe potuto e dovuto accomunare tutto il popolo italiano.

Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Le sedi ministeriali dell'Italia unita come banco di prova delle politiche per i beni culturali / The capital's transfer from Turin to Florence. The ministry offices of united Italy as a testing ground for policies for cultural heritage / Manassero, Stefania. - (2015).

Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Le sedi ministeriali dell'Italia unita come banco di prova delle politiche per i beni culturali / The capital's transfer from Turin to Florence. The ministry offices of united Italy as a testing ground for policies for cultural heritage.

MANASSERO, STEFANIA
2015

Abstract

La vicenda del trasferimento della capitale del regno d’Italia da Torino a Firenze è nota e non mancano importanti studi di riferimento sugli aspetti storico-politici e amministrativi di questo delicato passaggio. Meno indagate risultano alcune questioni più propriamente tecniche, di carattere urbanistico e soprattutto architettonico: in questo ambito la letteratura approfondisce il tema dell’ingrandimento della città scelta provvisoriamente come capitale, ossia Firenze, e dei nuovi significati che Torino, ormai ex-capitale, tenta più o meno consapevolmente di assumere, mentre sfiora soltanto il problema della scelta delle sedi per l’apparato burocratico. La ricerca di dottorato colma, in maniera innovativa, tale vuoto perché, a partire dal trasferimento delle sedi governative da Torino e a Firenze, si pone l’obiettivo di rintracciare il dibattito culturale da esso generato. In questi stessi anni iniziano infatti a delinearsi specifiche politiche per i beni culturali, chiamate a superare i localismi pre-unitari per elaborare un quadro di tutela nazionale: le differenti logiche di intervento, in un’alternanza tra prerogative locali e governative spesso in disaccordo, scatenano vivaci discussioni facilmente ripercorribili attraverso la pubblicistica del tempo e gli sberleffi offerti dalla satira, ricca di vignette sul tema, che raccoglie gli umori dell’opinione pubblica e offre una prospettiva sul senso di un disorientamento diffuso tra i cittadini. Il trasferimento, fortemente intriso di provvisorietà, si presta quindi ad essere un interessante caso studio, una sorta di banco di prova per comprendere quali siano state le difficoltà di trovare un sottile equilibrio tra le strategie di tutela per gli edifici messi a disposizione, tutti di grande valore storico e architettonico, e le necessarie modifiche per le nuove destinazioni d’uso. Un equilibrio reso ancora più precario se messo a confronto con la stretta tempistica delle operazioni di trasloco di mezzi, documenti e uomini. Nell’ottobre del 1864 è stabilito che le operazioni dovranno attuarsi nel più breve tempo possibile e comunque a partire dal maggio dell’anno successivo. In pochi mesi occorre quindi provvedere alla sistemazione di tutte le sedi fiorentine, lasciando uno strascico di ulteriore incertezza circa il destino di quelle torinesi, abbandonate in fretta e furia. Esistono attenzioni e criteri specifici per riconvertire le sedi ministeriali a nuovi impieghi? Certamente le disposizioni sulla soppressione dei conventi e le leggi sull’esproprio giocano un ruolo di primo piano, qui analizzato criticamente e posto a confronto con le moderne teorie sul restauro che proprio in questi stessi anni si dibattono con vivacità. Il tema della provvisorietà accompagna quindi costantemente gli eventi e suggerisce di ricostruire le vicende in una prospettiva storica più ampia, che travalica i primi anni di unità nazionale e giunge al passato recente: nel momento in cui i ministeri trovano una sistemazione nella città di Roma, la celeberrima ‘terza Roma’ destinata ad assumere il ruolo di capitale definitiva del regno d’Italia, vanno identificate nuove destinazioni d’uso negli edifici torinesi e fiorentini. Possono essere individuate logiche comuni tra le due città apparentemente chiuse ad ogni confronto tra loro? L’aspra dialettica tra le esigenze governative e gli obiettivi municipali non determina più ora il prevalere delle istanze del governo centrale, ma si configura in una netta vittoria da parte delle due città. Torino e Firenze sono consapevoli dei vincoli rappresentati dalla normativa statale, soprattutto quella in via di definizione riferita ai beni culturali e, facendo presa sulla sua debolezza e fragilità, individuano con astuzia le pieghe attraverso le quali far emergere le loro specifiche esigenze, anche in chiave di risarcimento per il periodo in cui sono state messe a disposizione della macchina statale. La tesi è organizzata in un primo capitolo dedicato all’inquadramento normativo riferito ai ‘monumenti’, oggi diremmo beni culturali, nel periodo pre e post unitario: il servizio di tutela, assai disomogeneo nelle varie realtà locali, cerca con difficoltà di proporsi in una prospettiva nazionale. Il percorso tracciato, com’è noto, evidenzia importanti criticità che perdurano per molto tempo e non possono essere trascurate nella ricostruzione delle scelte politiche attuate durante il trasferimento della capitale. Per comprendere la complessità di tali operazioni, è stato necessario identificare la ‘consistenza’ di una macchina burocratica così complessa. L’organizzazione amministrativa nei vari uffici ministeriali cambia anche considerevolmente in funzione del peso politico assunto da ciascun ministero, e le differenze in termini di competenze, unità e numero di uffici si traducono in spazi architettonici più o meno ampi, collocati in edifici di proprietà statale dall’alto valore rappresentativo oppure relegati in stabili anonimi e regolati da contratti di affitto. Per organizzare il consistente materiale di studio in modo chiaro ed esaustivo, è stato scelto lo strumento della schedatura delle sedi ministeriali torinesi e fiorentine, che occupa i capitoli centrali del lavoro. L’indagine è stata condotta facendo un costante riferimento alle fonti bibliografiche e documentarie, queste ultime conservate sia presso gli archivi storici della città di Torino e di Firenze, sia presso gli archivi di Stato di Torino, Firenze e Roma, in modo da privilegiare il costante confronto tra la dimensione municipale e quella centrale. Le voci di schedatura delineano in sintesi i caratteri storici e architettonici di ciascun edificio, mentre approfondiscono maggiormente l’ambito cronologico riferito alle esigenze governative e locali sino ai più recenti cambiamenti: l’analisi quindi supera lo studio delle sue peculiarità artistiche, del resto già presenti in molte pubblicazioni indicate in una bibliografia specifica, allo scopo di intrecciare inediti rapporti tra il singolo stabile e le vicende risorgimentali e post risorgimentali, in una chiave di lettura innovativa. Incrociando i dati desunti dalle schede, interpretati anche sulla base del sistema normativo sui beni culturali di inizio Novecento, si è giunti alla stesura del capitolo conclusivo che individua per le sedi ministeriali ormai dismesse cinque famiglie in base alla funzione che le accomuna: didattica, militare, culturale, amministrativa e residenziale. L’indagine cercherà di capire se è possibile cogliere una logica comune di recupero e riutilizzo degli edifici, che diventano chiara espressione della volontà di trasmettere una serie di valori omogenei, nel solco del difficile percorso verso l’acquisizione di una solida identità nazionale. I complessi architettonici sottoposti all’indagine sono stati l’espressione di un continuo cambiamento d’uso, quasi destinato a non avere mai fine. Possibile che le scelte operate siano state dettate soltanto da fortuite contingenze e da singole occasioni d’uso? Poco probabile. L’approfondimento critico dello studio attraverso l’indispensabile confronto con il coevo piano normativo dedicato ai beni culturali, inserito volutamente all’inizio e alla fine della stesura della tesi, ha permesso di cogliere alcuni atteggiamenti comuni alle due città, forse non sempre consapevoli, che testimoniano una chiara espressione di attenzione ad un bisogno di volta in volta collettivo o municipale. E’ stato possibile dimostrare che l’identità nazionale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è stata costruita, varrebbe la pena dire strutturata, soprattutto tentando di rispondere a queste esigenze: istruire i cittadini, rafforzare la memoria collettiva e garantire l’unità tanto amministrativa quanto militare, a fondamento di un sentire comune che, almeno nelle intenzioni dei diversi attori politici e amministrativi, presto avrebbe potuto e dovuto accomunare tutto il popolo italiano.
2015
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2617606
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