Obiettivo del lavoro di ricerca è la ricostruzione delle vicende attorno al tema della monumentalità durante la prima metà del XX secolo. Protagonista di pubblicazioni frammentarie e discontinue l’argomento non ha ancora trovato un’investigazione approfondita che gli riconosca la profonda influenza che ha esercitato nella cultura architettonica contemporanea. L’analisi dei precedenti storici di epoca moderna costituisce l’introduzione al lavoro, il cui prologo contempla l’origine europea del dibattito ad opera di figure quali l’architetto svizzero Peter Meyer e lo storico svedese Gregor Paulsson. Iniziatore del dibattito negli Stati Uniti è Lewis Mumford e la sua dichiarazione di morte del monumento (1937), presupposto per la successiva critica al Movimento Moderno (e alla presunta incoerenza dei suoi principali esponenti). Infatti, a partire dall’inizio degli anni ’40, diversi professionisti quali George Howe, progettista e accademico diviso tra partnerships prestigiose e incarichi federali, iniziano ad interrogarsi sulla possibilità di esistenza di un’architettura monumentale moderna, lontana dai luoghi comuni classicheggianti o eclettici dei regimi totalitari europei o dell’architettura “ufficiale” statunitense. Sigfried Giedion, storico svizzero e segretario dei CIAM, tenta di superare la questione attraverso il richiamo ad una “nuova monumentalità”, emesso a gran voce in scritti e convegni per un intero decennio a partire dal 1943. Al riconoscimento di tale necessità si accompagnano inoltre i “Nove punti sulla monumentalità”, redatti assieme al progettista e urbanista José L. Sert e al pittore Fernand Léger a New York e pubblicati solo nel 1956. La condivisione di idee con Léger e Sert porta Giedion ad individuare due possibili sviluppi per il tema della monumentalità, che trova nella collaborazione tra architetti e artisti e nei centri civici la sua direzione evolutiva preferenziale. Questi due indirizzi assicurano inoltre la sopravvivenza dell’argomento nell’ambito dei CIAM, dove viene discusso a più riprese nel corso degli incontri di Bridgwater (1947), Bergamo (1949) e Hoddesdon (1951). Il richiamo alla considerazione degli aspetti emozionali e umani dell’architettura da parte di Giedion e altri cultori del modernismo attira le critiche di Lewis Mumford, autore di un serrato dibattito che porta, tra il 1947 e il 1950, al totale esaurimento del tema. Diverse considerazioni sul lascito culturale del dibattito nel dopoguerra, in ambito architettonico e artistico, chiudono la ricerca.
L'altra monumentalità, 1937-1951 / Beccaria, GIACOMO LEONE. - STAMPA. - (2013).
L'altra monumentalità, 1937-1951
BECCARIA, GIACOMO LEONE
2013
Abstract
Obiettivo del lavoro di ricerca è la ricostruzione delle vicende attorno al tema della monumentalità durante la prima metà del XX secolo. Protagonista di pubblicazioni frammentarie e discontinue l’argomento non ha ancora trovato un’investigazione approfondita che gli riconosca la profonda influenza che ha esercitato nella cultura architettonica contemporanea. L’analisi dei precedenti storici di epoca moderna costituisce l’introduzione al lavoro, il cui prologo contempla l’origine europea del dibattito ad opera di figure quali l’architetto svizzero Peter Meyer e lo storico svedese Gregor Paulsson. Iniziatore del dibattito negli Stati Uniti è Lewis Mumford e la sua dichiarazione di morte del monumento (1937), presupposto per la successiva critica al Movimento Moderno (e alla presunta incoerenza dei suoi principali esponenti). Infatti, a partire dall’inizio degli anni ’40, diversi professionisti quali George Howe, progettista e accademico diviso tra partnerships prestigiose e incarichi federali, iniziano ad interrogarsi sulla possibilità di esistenza di un’architettura monumentale moderna, lontana dai luoghi comuni classicheggianti o eclettici dei regimi totalitari europei o dell’architettura “ufficiale” statunitense. Sigfried Giedion, storico svizzero e segretario dei CIAM, tenta di superare la questione attraverso il richiamo ad una “nuova monumentalità”, emesso a gran voce in scritti e convegni per un intero decennio a partire dal 1943. Al riconoscimento di tale necessità si accompagnano inoltre i “Nove punti sulla monumentalità”, redatti assieme al progettista e urbanista José L. Sert e al pittore Fernand Léger a New York e pubblicati solo nel 1956. La condivisione di idee con Léger e Sert porta Giedion ad individuare due possibili sviluppi per il tema della monumentalità, che trova nella collaborazione tra architetti e artisti e nei centri civici la sua direzione evolutiva preferenziale. Questi due indirizzi assicurano inoltre la sopravvivenza dell’argomento nell’ambito dei CIAM, dove viene discusso a più riprese nel corso degli incontri di Bridgwater (1947), Bergamo (1949) e Hoddesdon (1951). Il richiamo alla considerazione degli aspetti emozionali e umani dell’architettura da parte di Giedion e altri cultori del modernismo attira le critiche di Lewis Mumford, autore di un serrato dibattito che porta, tra il 1947 e il 1950, al totale esaurimento del tema. Diverse considerazioni sul lascito culturale del dibattito nel dopoguerra, in ambito architettonico e artistico, chiudono la ricerca.Pubblicazioni consigliate
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https://hdl.handle.net/11583/2509287
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