Il sistema delle missioni gesuitiche presenti nella regione di Chiquitos, nei territori orientali dell’attuale Bolivia, costituisce un importante caso studio per la conservazione e il restauro. L’evangelizzazione dei territori sudamericani, ha imposto, durante tutto il XVIII secolo, la creazione di nuovi insediamenti urbani, atti a migliorare le condizioni abitative dei popoli autoctoni e che consentissero, allo stesso tempo, la creazione di importanti strutture religiose per diffondere il credo cristiano nella zona e porsi come punti di riferimento per l’intera area circostante. L’intento con cui vennero realizzati questi insediamenti, quindi, non trova le proprie ragioni nella sola diffusione della religione cristiana, ma riguarda anche la volontà di ricercare una forma di villaggio (un lessico decorativo, uno stile architettonico) che potesse coniugare le tradizioni locali con le tecniche e i linguaggi contemporanei. Per questa ragione, differenti complessi religiosi localizzati nella zona, conservano le medesime caratteristiche costruttive, distributive e funzionali, non per imposizione di un unico progetto poco attento al genius loci, ma come diffusione dei primi esperimenti di convivenza fra i gesuiti e le popolazioni locali. Il disegno urbano dei vari centri dislocati nella zona (San Javier, Conception, San Ignacio, …) è spesso analogo ed è costituito da una ampia piazza centrale attorno alla quale trovano posto il complesso religioso e le abitazioni dei gesuiti, mentre sugli altri lati si collocano le residenze dei capi tribù e i servizi necessari alla comunità. Questa distribuzione planimetrica insiste sulla ricerca di un equilibrio e di una fruttuosa convivenza fra due realtà (quella gesuitica e quella indigena) che potesse dirsi rispettosa delle richieste e delle necessità di entrambe le parti. Le chiese dei centri missionari sono state oggetto di importanti restauri durante gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, coordinati dall’architetto svizzero Hans Roth. Quest’ultimo ha saputo sensibilizzare l’opinione pubblica e alcuni finanziatori denunciando il pessimo stato di conservazione che interessava le strutture e ha così potuto intraprendere alcune opere di conservazione sui materiali originali. Oltre alle difficoltà logistiche e dimensionali dell’intervento, i restauri dello scorso secolo hanno dovuto misurarsi con tecniche costruttive e materiali locali (decorazioni floreali tradizionali, dipinti murali realizzati con colori naturali, pareti in adobe ovvero blocchi di terra cruda, pavimentazioni in terra battuta), su cui le comuni tecniche di manutenzione non potevano dirsi efficaci. Per le caratteristiche proprie dei luoghi e delle architettura quindi i restauri hanno dovuto basarsi su prove sperimentali, su soluzioni innovative atte a trovare un idoneo compromesso fra le istanze della conservazione e le esigenze ambientali e tecnologiche, che ha saputo ridare vita ai complessi gesuitici fino a pochi anni prima in pessimo stato di conservazione. A seguito degli importanti restauri di Roth, il complesso religioso ha ottenuto l’iscrizione nella Lista per il patrimonio dell’umanità, a riprova di come le opere di conservazione abbiano saputo riportare l’attenzione internazionale su questi beni. Il contributo al convegno si propone di analizzare gli interventi di Roth a differenti scale, allo scopo di rileggerne a distanza l’importanza e studiarne la portata (operativa e simbolica) nel tempo. Attraverso una lettura visiva dello stato di conservazione dei beni si intende così comprendere se le innovative misure conservative di Roth abbiano saputo rispondere in modo adeguato alla prova del tempo e alle critiche condizioni climatiche e ambientali della zona. Il saggio cercherà quindi di interrogarsi sulla validità e sulla legittimità di affidarsi a tecniche innovative su beni di tale entità, allo scopo di perseguirne una conservazione e di scongiurarne la totale scomparsa. Inoltre, ad una scala più urbana, si intende valutare l’ipotesi di applicare queste tecniche, qualora risultassero efficaci, anche sugli altri edifici presenti nel centro cittadino, spesso dimenticati o trascurati dalle attività di restauro. L’importanza, anche ideale, del centro urbano e della comunità infatti, non risulta di minore importanza rispetto a quella della chiesa, ma tutto il centro urbano si pone come bene culturale indivisibile. Il contributo quindi, intende studiare questa particolare realtà in relazione all’operato teorico e operativo di Giovanni Carbonara, allo scopo di analizzarne parallelismi e divergenze fra le indicazioni inerenti la conservazione espresse nella vasta bibliografia di riferimento e i cantieri e gli interventi di restauro diretti.

Il sistema delle missioni gesuitiche di Chiquitos, Bolivia. Strategie alternative di restauro e conservazione per un bene culturale complesso / Morezzi, Emanuele - In: Realtà dell'architettura fra materia e immagine. Per Giovanni Carbonara: studi e ricerche / Esposito D., Montanari V.. - STAMPA. - [s.l] : L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 2021. - ISBN 978-88-913-2339-2. - pp. 775-778

Il sistema delle missioni gesuitiche di Chiquitos, Bolivia. Strategie alternative di restauro e conservazione per un bene culturale complesso.

Morezzi, Emanuele
2021

Abstract

Il sistema delle missioni gesuitiche presenti nella regione di Chiquitos, nei territori orientali dell’attuale Bolivia, costituisce un importante caso studio per la conservazione e il restauro. L’evangelizzazione dei territori sudamericani, ha imposto, durante tutto il XVIII secolo, la creazione di nuovi insediamenti urbani, atti a migliorare le condizioni abitative dei popoli autoctoni e che consentissero, allo stesso tempo, la creazione di importanti strutture religiose per diffondere il credo cristiano nella zona e porsi come punti di riferimento per l’intera area circostante. L’intento con cui vennero realizzati questi insediamenti, quindi, non trova le proprie ragioni nella sola diffusione della religione cristiana, ma riguarda anche la volontà di ricercare una forma di villaggio (un lessico decorativo, uno stile architettonico) che potesse coniugare le tradizioni locali con le tecniche e i linguaggi contemporanei. Per questa ragione, differenti complessi religiosi localizzati nella zona, conservano le medesime caratteristiche costruttive, distributive e funzionali, non per imposizione di un unico progetto poco attento al genius loci, ma come diffusione dei primi esperimenti di convivenza fra i gesuiti e le popolazioni locali. Il disegno urbano dei vari centri dislocati nella zona (San Javier, Conception, San Ignacio, …) è spesso analogo ed è costituito da una ampia piazza centrale attorno alla quale trovano posto il complesso religioso e le abitazioni dei gesuiti, mentre sugli altri lati si collocano le residenze dei capi tribù e i servizi necessari alla comunità. Questa distribuzione planimetrica insiste sulla ricerca di un equilibrio e di una fruttuosa convivenza fra due realtà (quella gesuitica e quella indigena) che potesse dirsi rispettosa delle richieste e delle necessità di entrambe le parti. Le chiese dei centri missionari sono state oggetto di importanti restauri durante gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, coordinati dall’architetto svizzero Hans Roth. Quest’ultimo ha saputo sensibilizzare l’opinione pubblica e alcuni finanziatori denunciando il pessimo stato di conservazione che interessava le strutture e ha così potuto intraprendere alcune opere di conservazione sui materiali originali. Oltre alle difficoltà logistiche e dimensionali dell’intervento, i restauri dello scorso secolo hanno dovuto misurarsi con tecniche costruttive e materiali locali (decorazioni floreali tradizionali, dipinti murali realizzati con colori naturali, pareti in adobe ovvero blocchi di terra cruda, pavimentazioni in terra battuta), su cui le comuni tecniche di manutenzione non potevano dirsi efficaci. Per le caratteristiche proprie dei luoghi e delle architettura quindi i restauri hanno dovuto basarsi su prove sperimentali, su soluzioni innovative atte a trovare un idoneo compromesso fra le istanze della conservazione e le esigenze ambientali e tecnologiche, che ha saputo ridare vita ai complessi gesuitici fino a pochi anni prima in pessimo stato di conservazione. A seguito degli importanti restauri di Roth, il complesso religioso ha ottenuto l’iscrizione nella Lista per il patrimonio dell’umanità, a riprova di come le opere di conservazione abbiano saputo riportare l’attenzione internazionale su questi beni. Il contributo al convegno si propone di analizzare gli interventi di Roth a differenti scale, allo scopo di rileggerne a distanza l’importanza e studiarne la portata (operativa e simbolica) nel tempo. Attraverso una lettura visiva dello stato di conservazione dei beni si intende così comprendere se le innovative misure conservative di Roth abbiano saputo rispondere in modo adeguato alla prova del tempo e alle critiche condizioni climatiche e ambientali della zona. Il saggio cercherà quindi di interrogarsi sulla validità e sulla legittimità di affidarsi a tecniche innovative su beni di tale entità, allo scopo di perseguirne una conservazione e di scongiurarne la totale scomparsa. Inoltre, ad una scala più urbana, si intende valutare l’ipotesi di applicare queste tecniche, qualora risultassero efficaci, anche sugli altri edifici presenti nel centro cittadino, spesso dimenticati o trascurati dalle attività di restauro. L’importanza, anche ideale, del centro urbano e della comunità infatti, non risulta di minore importanza rispetto a quella della chiesa, ma tutto il centro urbano si pone come bene culturale indivisibile. Il contributo quindi, intende studiare questa particolare realtà in relazione all’operato teorico e operativo di Giovanni Carbonara, allo scopo di analizzarne parallelismi e divergenze fra le indicazioni inerenti la conservazione espresse nella vasta bibliografia di riferimento e i cantieri e gli interventi di restauro diretti.
2021
978-88-913-2339-2
978-88-913-2342-2
Realtà dell'architettura fra materia e immagine. Per Giovanni Carbonara: studi e ricerche
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2771432