Questo volume è la traccia di un dialogo spesso acceso, ricco di incomprensioni e riconciliazioni, che coinvolge architetti e filosofi, docenti e professionisti, e poi biologi, dottori di ricerca, studenti. È il racconto di due discipline, architettura e filosofia, che si voltano a guardarsi reciprocamente, con una svolta concettuale che deve divenire un nuovo punto di partenza. Precisamente questo è il doppio significato del termine “Turns”. Da un lato infatti, il filosofo ha sempre avuto difficoltà a interloquire con l’architetto, sia per ragioni storiche sia per ragioni strettamente legate al suo metodo e ai suoi obiettivi. L’architetto sembra infatti presentarsi allo sguardo del filosofo come un personaggio al contempo perturbante e conturbante, in un misto di attrazione e biasimo, di invidia e ammirazione: una figura tanto sfuggente da investire la riflessione filosofica con effetto retroattivo, facendo scricchiolare le sue fondamenta concettuali e mettendo in dubbio nozioni fondamentali quali verità, libertà, realtà, conoscenza, invenzione, possibilità, necessità, che hanno rappresentato per secoli il lessico base del pensiero occidentale. L’interesse verso una simile figura sembrerebbe ovvio. Eppure, quasi sempre è il filosofo che viene interpellato, utilizzato o coinvolto nel lavoro dell’architetto, in molti casi con l’intento di distillare spazialmente il senso dei suoi discorsi nel progetto. Non che ciò sia impossibile, ma, forse, dovremmo domandarci se è proprio questo quello che vogliamo: o se invece non sia compito del filosofo esercitare una sistematica e implacabile strategia di provocazione interessata, al fine di produrre un effetto, una particolare condizione dello sguardo. Creare la crisi, mettendo in discussione ciò che è dato, sapendo che, come spesso accade, l’apertura verso un nuovo oggetto di conoscenza lascia insoluti quei quesiti che lo vedono direttamente implicato per produrre un effetto retroattivo di chiarificazione nel soggetto indagatore, impegnato a leggersi ora attraverso una nuova forma di mediazione. Dall’altro lato, per l’architettura il rapporto con la filosofia è storicamente naturale, quasi che questa fosse una visione complementare sul mondo rispetto al suo operato: questo era possibile perché la società si evolveva in modo relativamente lento, attraverso sedimentazioni di usi che diventavano convenzioni sociali, di pensiero, di stile. Così andava nell’architettura egizia, in quella classica, nel medioevo, nel rinascimento, finanche nel Modernismo: i significati erano decifrabili perché si condivideva un sostrato convenzionale. Ma qualcosa è cambiato. Le correnti durano pochi anni: poi passano, come le mode, spesso senza lasciar traccia – tranne edifici già superati, ovviamente. Così, spariscono le teorie dell’architettura, cioè sistemi che dicano cosa sia giusto costruire. E senza una teoria che legittimi le scelte, fioriscono le retoriche e le poetiche personali, spesso così ridicole da essere persino (e giustamente) oggetto di satira. La condizione di fragilità dell’architettura contemporanea è ormai fisiologica. Ed è qui che la filosofia diventa non solo utile, ma necessaria. A patto, certo, di non usarla in senso analogico, con derivazioni dirette che trasformano concetti in forme e pensieri in stili. Dialogare con i filosofi serve perché essi ragionano su temi che, in qualche modo, toccano gli architetti – ad esempio, lo spazio, l’invenzione, la città, la generazione della forma, il potere. Capire qualcosa di quei temi aiuterà a progettare con una maggior consapevolezza, o una più approfondita convinzione sulle ragioni del progetto, e a capirne meglio effetti ed esiti. N.B. Oltre alla curatela, il volume contiene i seguenti saggi di Carlo Deregibus: Philosophical Turn. Fragilità dell’architettura contemporanea; Appunti su Chōra, spazio e architettura. Da Platone a Derrida; L’orizzonte del progetto e la responsabilità dell’architetto; Progetto e complessità. Fascino dell’analogia e libero arbitrio. N.B. Il testo è esito di un esteso lavoro di revisione e coordinamento condiviso in ogni parte dai due curatori. Ai soli fini di valutazioni comparative o di concorsi, è attribuibile a Carlo Deregibus la titolarità delle sezioni 3, 4, 6, e dei testi da lui firmati. E’ invece attribuibile a Alberto Giustiniano la titolarità delle sezioni 1, 2, 5 e dei testi da lui firmati.

Descrivere il progetto dello spazio / Durbiano, Giovanni - In: Turns. Dialoghi tra architettura e filosofia / DEREGIBUS C., GIUSTINIANO A.. - ELETTRONICO. - Torino : Philosophy Kitchen, 2018. - ISBN 978-88-941631-1-7. - pp. 29-31 [10.13135/2385-1945/4204]

Descrivere il progetto dello spazio

Giovanni Durbiano
2018

Abstract

Questo volume è la traccia di un dialogo spesso acceso, ricco di incomprensioni e riconciliazioni, che coinvolge architetti e filosofi, docenti e professionisti, e poi biologi, dottori di ricerca, studenti. È il racconto di due discipline, architettura e filosofia, che si voltano a guardarsi reciprocamente, con una svolta concettuale che deve divenire un nuovo punto di partenza. Precisamente questo è il doppio significato del termine “Turns”. Da un lato infatti, il filosofo ha sempre avuto difficoltà a interloquire con l’architetto, sia per ragioni storiche sia per ragioni strettamente legate al suo metodo e ai suoi obiettivi. L’architetto sembra infatti presentarsi allo sguardo del filosofo come un personaggio al contempo perturbante e conturbante, in un misto di attrazione e biasimo, di invidia e ammirazione: una figura tanto sfuggente da investire la riflessione filosofica con effetto retroattivo, facendo scricchiolare le sue fondamenta concettuali e mettendo in dubbio nozioni fondamentali quali verità, libertà, realtà, conoscenza, invenzione, possibilità, necessità, che hanno rappresentato per secoli il lessico base del pensiero occidentale. L’interesse verso una simile figura sembrerebbe ovvio. Eppure, quasi sempre è il filosofo che viene interpellato, utilizzato o coinvolto nel lavoro dell’architetto, in molti casi con l’intento di distillare spazialmente il senso dei suoi discorsi nel progetto. Non che ciò sia impossibile, ma, forse, dovremmo domandarci se è proprio questo quello che vogliamo: o se invece non sia compito del filosofo esercitare una sistematica e implacabile strategia di provocazione interessata, al fine di produrre un effetto, una particolare condizione dello sguardo. Creare la crisi, mettendo in discussione ciò che è dato, sapendo che, come spesso accade, l’apertura verso un nuovo oggetto di conoscenza lascia insoluti quei quesiti che lo vedono direttamente implicato per produrre un effetto retroattivo di chiarificazione nel soggetto indagatore, impegnato a leggersi ora attraverso una nuova forma di mediazione. Dall’altro lato, per l’architettura il rapporto con la filosofia è storicamente naturale, quasi che questa fosse una visione complementare sul mondo rispetto al suo operato: questo era possibile perché la società si evolveva in modo relativamente lento, attraverso sedimentazioni di usi che diventavano convenzioni sociali, di pensiero, di stile. Così andava nell’architettura egizia, in quella classica, nel medioevo, nel rinascimento, finanche nel Modernismo: i significati erano decifrabili perché si condivideva un sostrato convenzionale. Ma qualcosa è cambiato. Le correnti durano pochi anni: poi passano, come le mode, spesso senza lasciar traccia – tranne edifici già superati, ovviamente. Così, spariscono le teorie dell’architettura, cioè sistemi che dicano cosa sia giusto costruire. E senza una teoria che legittimi le scelte, fioriscono le retoriche e le poetiche personali, spesso così ridicole da essere persino (e giustamente) oggetto di satira. La condizione di fragilità dell’architettura contemporanea è ormai fisiologica. Ed è qui che la filosofia diventa non solo utile, ma necessaria. A patto, certo, di non usarla in senso analogico, con derivazioni dirette che trasformano concetti in forme e pensieri in stili. Dialogare con i filosofi serve perché essi ragionano su temi che, in qualche modo, toccano gli architetti – ad esempio, lo spazio, l’invenzione, la città, la generazione della forma, il potere. Capire qualcosa di quei temi aiuterà a progettare con una maggior consapevolezza, o una più approfondita convinzione sulle ragioni del progetto, e a capirne meglio effetti ed esiti. N.B. Oltre alla curatela, il volume contiene i seguenti saggi di Carlo Deregibus: Philosophical Turn. Fragilità dell’architettura contemporanea; Appunti su Chōra, spazio e architettura. Da Platone a Derrida; L’orizzonte del progetto e la responsabilità dell’architetto; Progetto e complessità. Fascino dell’analogia e libero arbitrio. N.B. Il testo è esito di un esteso lavoro di revisione e coordinamento condiviso in ogni parte dai due curatori. Ai soli fini di valutazioni comparative o di concorsi, è attribuibile a Carlo Deregibus la titolarità delle sezioni 3, 4, 6, e dei testi da lui firmati. E’ invece attribuibile a Alberto Giustiniano la titolarità delle sezioni 1, 2, 5 e dei testi da lui firmati.
2018
978-88-941631-1-7
Turns. Dialoghi tra architettura e filosofia
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
TURNS. Dialoghi tra architettura e filosofia 9788894163117.pdf

non disponibili

Descrizione: pubblicazione completa
Tipologia: 2a Post-print versione editoriale / Version of Record
Licenza: Non Pubblico - Accesso privato/ristretto
Dimensione 1.02 MB
Formato Adobe PDF
1.02 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia
4204-13415-1-SM.pdf

accesso aperto

Tipologia: 2a Post-print versione editoriale / Version of Record
Licenza: Creative commons
Dimensione 105.22 kB
Formato Adobe PDF
105.22 kB Adobe PDF Visualizza/Apri
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2702841