Vi è un’effettiva bellezza nelle impronte che il tempo lascia sull’opera architettonica – scriveva nel 1849 J. Ruskin – e questa bellezza è definita con il termine di “pittoresco”. L’argomento è tuttavia uno dei più oscuri e nessuna definizione può essere esaustiva. Nonostante molti anni fossero passati dalla pubblicazione dei libri di W. Gilpin, R. Payne Knight e U. Price, che nell’Inghilterra della seconda metà del XVIII secolo diffondevano le nuove teorie estetiche del pittoresco in rapporto all’arte dei giardini e del paesaggio e all’architettura, Ruskin esprimeva nel suo "The Seven Lamps of Architecture" l’estrema difficoltà a condensare un concetto che, per propria natura, appariva indistinto e mobile, espressione – come sottolineava Price – di un gusto che rispecchia il mondo umano, sempre in movimento e inquieto, con la sua predilezione per l’intreccio e l’intrico, la varietà e l’irregolarità. Risulta dunque evidente la costante e profonda dissoluzione della tradizione classicista perseguita dal pittoresco, non più interessato all’idea a-temporale del bello che congela il tempo e le sue qualità effimere, quanto alla fascinazione dell’attimo e a quella temporalizzazione dell’architettura come testo costantemente trasfigurato dalla storia, che disfa, erode e stratifica incessantemente l’opera compiuta. Sono questi caratteri a costituire – secondo noi – il lascito e l’eredità più stimolanti di una categoria estetica che sembra ampiamente riflettere la società e la produzione architettonica contemporanea, caratterizzata da un rinato pragmatismo, conseguenza – come scrive il sociologo francese M. Maffesoli – di una rinnovata vitalità che è sintomo dell’effervescenza della nostra complessità.

Riflessi del pittoresco nel pensiero architettonico contemporaneo / Gregory, Paola. - In: PARAMETRO. - ISSN 0031-1731. - (2006), pp. 162-167.

Riflessi del pittoresco nel pensiero architettonico contemporaneo

GREGORY, PAOLA
2006

Abstract

Vi è un’effettiva bellezza nelle impronte che il tempo lascia sull’opera architettonica – scriveva nel 1849 J. Ruskin – e questa bellezza è definita con il termine di “pittoresco”. L’argomento è tuttavia uno dei più oscuri e nessuna definizione può essere esaustiva. Nonostante molti anni fossero passati dalla pubblicazione dei libri di W. Gilpin, R. Payne Knight e U. Price, che nell’Inghilterra della seconda metà del XVIII secolo diffondevano le nuove teorie estetiche del pittoresco in rapporto all’arte dei giardini e del paesaggio e all’architettura, Ruskin esprimeva nel suo "The Seven Lamps of Architecture" l’estrema difficoltà a condensare un concetto che, per propria natura, appariva indistinto e mobile, espressione – come sottolineava Price – di un gusto che rispecchia il mondo umano, sempre in movimento e inquieto, con la sua predilezione per l’intreccio e l’intrico, la varietà e l’irregolarità. Risulta dunque evidente la costante e profonda dissoluzione della tradizione classicista perseguita dal pittoresco, non più interessato all’idea a-temporale del bello che congela il tempo e le sue qualità effimere, quanto alla fascinazione dell’attimo e a quella temporalizzazione dell’architettura come testo costantemente trasfigurato dalla storia, che disfa, erode e stratifica incessantemente l’opera compiuta. Sono questi caratteri a costituire – secondo noi – il lascito e l’eredità più stimolanti di una categoria estetica che sembra ampiamente riflettere la società e la produzione architettonica contemporanea, caratterizzata da un rinato pragmatismo, conseguenza – come scrive il sociologo francese M. Maffesoli – di una rinnovata vitalità che è sintomo dell’effervescenza della nostra complessità.
2006
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