Rivoluzioni a tutti i livelli della società, nell’arte e nella cultura, nell’economia e nella politica, nelle scienze umane e nella tecnica, caratterizzano il periodo tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Illuminismo e rivoluzione industriale sono i due momenti chiave, la loro unione il motore, da cui scaturiscono quelle forze di rottura che in pochi decenni, tra il 1789 e il 1848, conducono l’Europa alle soglie del mondo moderno. Due rivoluzioni, come pietre migliari, marcano l’esistenza di questo periodo, dalla rivoluzione francese al 1848, separandola, come cesure, dal resto della storia e definendola, quasi, come un’epoca autonoma. Più che un’epoca in senso stretto si potrebbe, dunque, definire una “Zwischen Zeit”, un lasso di tempo, un periodo di transizione, che abbraccia poco più di una generazione, e nella sua ambivalenza può essere letta come una soglia, appunto, tra un prima e un dopo. Proprio questa sua autonomia, questo suo essere una sorta di parentesi, fluttuante tra due epoche definite, è uno dei caratteri particolari di questo momento: sfugge allo sviluppo storico e sembra esitere nel tempo, come una entità indipendente, con un principio, uno sviluppo e una fine. Di questa condizione è forse uno specchio la predilezione per le categorie assolute, l’amore per il grande e per l’eterno, che è uno dei tratti più caratteristici dell’estetica dell’idealismo e del romanticismo, e che in architettura si esprime nell’idea del monumento, o meglio di una monumentalità primaria, come condizione elettiva, antecedente alle determinazioni stilistiche, necessaria per ritrovare il legame perduto tra funzione e significato dell’architettura. L’avanguardia della generazione nata intorno al 1770, alla quale apartengono Beethoven (1770- 1827), Hölderlin (1770-1843) o Gilly (1772-1800), Hegel (1770-1831) o Schelling (1775-1854), e alla quale si possono ascrivere ancora Fichte (1762-1814) o Schiller (1759-1805), mobilita le proprie forze contro un progetto del moderno, nel quale l’illuminismo minacciava di trasformarsi in un processo unidimensionale di razionalizzazione. La protesta della giovane generazione, passionale e dalle tinte romantiche, è fondamentale per istaurare una sorta di inversione di tendenza, che riporta drammaticamente in primo piano l’unità di conoscenza e sensibilità, avviando un processo di ri-sensibilizzazione necessaria per lo sviluppo successivo. Anche in architettura. La generazione di Schinkel (1781-1841), quella di Brentano (1778-1842), Arnim (1781-1831), Schopenhauer (1778-1860), Carl Maria von Weber (1786-1826), di solo dieci anni più vecchia, ha già raggiunto una maturità artistica equilibrata e cosciente, che ha molto poco dell’avanguardia. Se i primi sono appassionati propugnatori di nuove idee, esaltati e militanti, i secondi sono lucidi realisti, promotori della trasformazione, sì, ma dall’interno della struttura statale. Se la lezione dei primi non è metodica né didascalica, ma piuttosto una esplosione poetica, quella degli altri cerca di ripristinare i canali istituzionali, primo tra tutti quello della scuola. Sono due momenti strettamente legati, conseguenti e necessari, entrambi, per comprendere e descrivere interamente l’evoluzione culturale di questo momento e il suo senso rispetto alla formazione del pensiero moderno. Così si spiega anche —al dilà della dichiarazione di Schinkel di essere in tutto e per tutto debitore all’opera del suo maestro prematuramente scomparso— l’importanza di studiare Gilly e di Schinkel insieme: perché solo nella loro unità di intenti e di obiettvi e nella continuità del loro lavoro si riconosce per intero quel processo di rottura e di ricomposizione che investe e trasforma radicalmente anche il mondo dell’architettura. All’interno di questo processo di trasfromazione e rinnovamento sociale e artistico, che investe tutti i livelli del pensiero, la discussione sul monumento rappresenta, in architettura, e in particolare a Berlino, il tema più significativo e originale, quello che incarna più profondamente le tensioni di questo momento e ne disegna, rispetto alla tradizione, le linee di confine. Il lavoro si concentra dunque sullo studio delle architetture commemorative, e in particolare sulla vicenda del monumento a Fedrico il Grande, come strumento per affrontare in modo diretto e concreto il problema più generale del significato dell’architettura e del suo valore evocativo, e definire, attraverso lo studio degli esempi e delle riflessioni teoriche che li accompagnano, la “monumentalità” come una condizione caratteristica, necessaria e intrinseca all’architettura, indipendentemente dalla sua destinazione. Data la complessità del tema e la difficoltà a definirne i limiti, in senso terminologico, ma anche concettuale, si è scelto di affrontare la questione limitandola cronologicamente a un periodo determinato e di analizzarla esclusivamente attraverso l’esperienza considerata “esemplare” degli architetti berlinesi. La volontà è, dunque, quella di dare alla riflessione un carattere storico —di cui è specchio la raccolta documentaria che accompagna, in forma antologica, ogni capitolo—, senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo più generale, cioè quello di formulare comunque un giudizio, che sia espressione di una operatività implicita nello studio e nella ricerca.

Il monumento architettonico. Questioni di composizione architettonica e urbana nei progetti di Friedrich Gilly e Karl Friedrich Schinkel / Malcovati, Silvia. - (1999).

Il monumento architettonico. Questioni di composizione architettonica e urbana nei progetti di Friedrich Gilly e Karl Friedrich Schinkel.

MALCOVATI, SILVIA
1999

Abstract

Rivoluzioni a tutti i livelli della società, nell’arte e nella cultura, nell’economia e nella politica, nelle scienze umane e nella tecnica, caratterizzano il periodo tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Illuminismo e rivoluzione industriale sono i due momenti chiave, la loro unione il motore, da cui scaturiscono quelle forze di rottura che in pochi decenni, tra il 1789 e il 1848, conducono l’Europa alle soglie del mondo moderno. Due rivoluzioni, come pietre migliari, marcano l’esistenza di questo periodo, dalla rivoluzione francese al 1848, separandola, come cesure, dal resto della storia e definendola, quasi, come un’epoca autonoma. Più che un’epoca in senso stretto si potrebbe, dunque, definire una “Zwischen Zeit”, un lasso di tempo, un periodo di transizione, che abbraccia poco più di una generazione, e nella sua ambivalenza può essere letta come una soglia, appunto, tra un prima e un dopo. Proprio questa sua autonomia, questo suo essere una sorta di parentesi, fluttuante tra due epoche definite, è uno dei caratteri particolari di questo momento: sfugge allo sviluppo storico e sembra esitere nel tempo, come una entità indipendente, con un principio, uno sviluppo e una fine. Di questa condizione è forse uno specchio la predilezione per le categorie assolute, l’amore per il grande e per l’eterno, che è uno dei tratti più caratteristici dell’estetica dell’idealismo e del romanticismo, e che in architettura si esprime nell’idea del monumento, o meglio di una monumentalità primaria, come condizione elettiva, antecedente alle determinazioni stilistiche, necessaria per ritrovare il legame perduto tra funzione e significato dell’architettura. L’avanguardia della generazione nata intorno al 1770, alla quale apartengono Beethoven (1770- 1827), Hölderlin (1770-1843) o Gilly (1772-1800), Hegel (1770-1831) o Schelling (1775-1854), e alla quale si possono ascrivere ancora Fichte (1762-1814) o Schiller (1759-1805), mobilita le proprie forze contro un progetto del moderno, nel quale l’illuminismo minacciava di trasformarsi in un processo unidimensionale di razionalizzazione. La protesta della giovane generazione, passionale e dalle tinte romantiche, è fondamentale per istaurare una sorta di inversione di tendenza, che riporta drammaticamente in primo piano l’unità di conoscenza e sensibilità, avviando un processo di ri-sensibilizzazione necessaria per lo sviluppo successivo. Anche in architettura. La generazione di Schinkel (1781-1841), quella di Brentano (1778-1842), Arnim (1781-1831), Schopenhauer (1778-1860), Carl Maria von Weber (1786-1826), di solo dieci anni più vecchia, ha già raggiunto una maturità artistica equilibrata e cosciente, che ha molto poco dell’avanguardia. Se i primi sono appassionati propugnatori di nuove idee, esaltati e militanti, i secondi sono lucidi realisti, promotori della trasformazione, sì, ma dall’interno della struttura statale. Se la lezione dei primi non è metodica né didascalica, ma piuttosto una esplosione poetica, quella degli altri cerca di ripristinare i canali istituzionali, primo tra tutti quello della scuola. Sono due momenti strettamente legati, conseguenti e necessari, entrambi, per comprendere e descrivere interamente l’evoluzione culturale di questo momento e il suo senso rispetto alla formazione del pensiero moderno. Così si spiega anche —al dilà della dichiarazione di Schinkel di essere in tutto e per tutto debitore all’opera del suo maestro prematuramente scomparso— l’importanza di studiare Gilly e di Schinkel insieme: perché solo nella loro unità di intenti e di obiettvi e nella continuità del loro lavoro si riconosce per intero quel processo di rottura e di ricomposizione che investe e trasforma radicalmente anche il mondo dell’architettura. All’interno di questo processo di trasfromazione e rinnovamento sociale e artistico, che investe tutti i livelli del pensiero, la discussione sul monumento rappresenta, in architettura, e in particolare a Berlino, il tema più significativo e originale, quello che incarna più profondamente le tensioni di questo momento e ne disegna, rispetto alla tradizione, le linee di confine. Il lavoro si concentra dunque sullo studio delle architetture commemorative, e in particolare sulla vicenda del monumento a Fedrico il Grande, come strumento per affrontare in modo diretto e concreto il problema più generale del significato dell’architettura e del suo valore evocativo, e definire, attraverso lo studio degli esempi e delle riflessioni teoriche che li accompagnano, la “monumentalità” come una condizione caratteristica, necessaria e intrinseca all’architettura, indipendentemente dalla sua destinazione. Data la complessità del tema e la difficoltà a definirne i limiti, in senso terminologico, ma anche concettuale, si è scelto di affrontare la questione limitandola cronologicamente a un periodo determinato e di analizzarla esclusivamente attraverso l’esperienza considerata “esemplare” degli architetti berlinesi. La volontà è, dunque, quella di dare alla riflessione un carattere storico —di cui è specchio la raccolta documentaria che accompagna, in forma antologica, ogni capitolo—, senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo più generale, cioè quello di formulare comunque un giudizio, che sia espressione di una operatività implicita nello studio e nella ricerca.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2501325
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