La fine dell'Ancien Régime segna anche la fine della Venaria Reale. Nel 1798, con l'arrivo dei francesi, il palazzo cessa di esistere in quanto reggia e si avvia verso un destino di semplice caserma. Il libro prende l'avvio proprio dalla fine, perché risiede in questo brusco arresto della sua storia la radice dell'attuale panorama che i restauri in corso solo in parte hanno potuto alleviare. Dopo questo breve prologo si diparte il primo dei percorsi lungo le vicende architettoniche della residenza e dei suoi giardini, supportato dalla precisa analisi archivistica su documenti e iconografie storiche, come dimostra anche il cospicuo apparato di note. Il racconto ci illustra le diverse fasi del cantiere: il primo impianto dovuto ad Amedeo di Castellamonte (1659) indagato nella sua matrice tardomanierista che si esplica soprattutto nei repertori decorativi (evidente nel confronto proposto con il Livre d'Architecture di Alexandre Francini) ma anche nello schema, confrontato con le ville cinquecentesche in Roma; il grande progetto di Michelangelo Garove (1699) colto nella sua forza dirompente nei confronti dell'attardato complesso castellamontiano, motivato dalla necessità di ottenere, con riferimento a ormai sperimentati modelli francesi, una residenza adeguata a un Ducato in espansione (con un nuovo, vastissimo giardino, qui comparato con quello progettato già nel 1670 da Le Notre per Racconigi); i preziosi inserimenti di Juvarra, che per il palazzo riguardano la Galleria di Diana (1716), la cui vicenda decorativa a stucco viene analizzata in dettaglio dal 1716 al 1773; gli interventi diretti da Benedetto Alfieri (dal 1751) che ne accetta ormai l'asimmetria generata dal mancato completamento del progetto garoviano; l'ultimo intervento decorativo (1788) in stile Luigi XVI per il matrimonio dei Duchi d'Aosta, un "dono di nozze sull'orlo della rivoluzione". E siamo giunti nuovamente al 1798. Ma il percorso riprende di nuovo, questa volta su di un livello differente, nel quale la narrazione giunge ad un epilogo felice. Un secolo di cantiere, di volta in volta segnato dal procedere del gusto, non solo ha mutato il volto del complesso, lasciando ogni fase incompiuta e creando una macchina architettonica sbilanciata, quasi destinata alla rovina, come suggerisce un paragrafo (Cause di morte: asimmetria), ma ha contribuito a cancellare l'impianto originario. E' il caso del giardino, completamente distrutto nelle sue componenti laterizie e lapidee fra il 1700 ed il 1751, per realizzare il grande parco alla francese, analizzato nelle sue ragioni e in relazione al trattato del Dezallier d'Argenville, nel VII capitolo. Dove sono finite le statue, i busti, i telamoni, i bassorilievi che in numero di quattrocento ornavano fontane, grotte, scalee? In questa seconda parte del libro, in un contesto storicamente e architettonicamente ormai chiarito, si cerca di dare risposte operando un vero e proprio "restauro della memoria". L'archivio viene interrogato nuovamente, cercando di riconnettere le sinapsi ormai decadute. Sulla traccia delle relazioni presentate al Re in merito allo stato delle Fabbriche e Fortificazioni, lungo tutto il XVIII secolo, si ricompone la nuova geografia delle sculture. Tolte ai giardini e immagazzinate vengono poi vendute o donate ai nobili più vicini alla Corte. L'investigazione nelle ville e nei palazzi di questa nobiltà si avvale di "foto segnaletiche" (le incisioni del giardino pubblicate nel 1679) e di informazioni precise (le dimensioni e le descrizioni fornite nei contratti sottoscritti dagli scultori). Il risultato di questa operazione compare nei capitoli VIII e IX: buona parte delle decorazioni marmoree dei giardini di Venaria Reale viene "ritrovata" in ville e palazzi torinesi, ma anche a Govone, nel cuneese. Lo stesso metodo viene poi applicato (capp. X e XI) al corredo scultoreo provvisto per il palazzo nella seconda metà del '700 e successivamente scomparso: quattro allegorie delle Stagioni, i grandi vasi posti alle terrazze. Dall'indagine emerge non solo il ritrovamento delle opere, ricollocate nei giardini del Palazzo Reale di Torino in epoca napoleonica, ma anche la filosofia del reimpiego che ha presieduto, negli anni del governo francese, all'adeguamento decorativo dei palazzi, divenuti ormai "imperiali". Venaria Reale compare quindi non pi— come residenza spogliata furiosamente dalle masse ma scientificamente e progressivamente privata di camini, boiseries, sculture, pavimenti, per ornare il palazzo in città. La monografia si conclude con una serie di appendici in cui nutriti elenchi ci riconsegnano in dettaglio, fra acconti, saldi e pagamenti a pittori, plasticatori, ebanisti, etc., il volto degli appartamenti. La selezione dei documenti di archivio, la cui lettura è favorita dalla presenza di un glossario e una tavola delle unità di misura, esemplifica i momenti fondamentali o i metodi seguiti in quest'opera di continua dilapidazione-rimodellazione. Il volume è stato ripubblicato nel 2006 dal medesimo editore.

Giardini di marmo ritrovati. La geografia del gusto in un secolo di cantiere a Venaria Reale (1699-1798) / Cornaglia, Paolo. - STAMPA. - (1994), pp. 1-227.

Giardini di marmo ritrovati. La geografia del gusto in un secolo di cantiere a Venaria Reale (1699-1798)

CORNAGLIA, Paolo
1994

Abstract

La fine dell'Ancien Régime segna anche la fine della Venaria Reale. Nel 1798, con l'arrivo dei francesi, il palazzo cessa di esistere in quanto reggia e si avvia verso un destino di semplice caserma. Il libro prende l'avvio proprio dalla fine, perché risiede in questo brusco arresto della sua storia la radice dell'attuale panorama che i restauri in corso solo in parte hanno potuto alleviare. Dopo questo breve prologo si diparte il primo dei percorsi lungo le vicende architettoniche della residenza e dei suoi giardini, supportato dalla precisa analisi archivistica su documenti e iconografie storiche, come dimostra anche il cospicuo apparato di note. Il racconto ci illustra le diverse fasi del cantiere: il primo impianto dovuto ad Amedeo di Castellamonte (1659) indagato nella sua matrice tardomanierista che si esplica soprattutto nei repertori decorativi (evidente nel confronto proposto con il Livre d'Architecture di Alexandre Francini) ma anche nello schema, confrontato con le ville cinquecentesche in Roma; il grande progetto di Michelangelo Garove (1699) colto nella sua forza dirompente nei confronti dell'attardato complesso castellamontiano, motivato dalla necessità di ottenere, con riferimento a ormai sperimentati modelli francesi, una residenza adeguata a un Ducato in espansione (con un nuovo, vastissimo giardino, qui comparato con quello progettato già nel 1670 da Le Notre per Racconigi); i preziosi inserimenti di Juvarra, che per il palazzo riguardano la Galleria di Diana (1716), la cui vicenda decorativa a stucco viene analizzata in dettaglio dal 1716 al 1773; gli interventi diretti da Benedetto Alfieri (dal 1751) che ne accetta ormai l'asimmetria generata dal mancato completamento del progetto garoviano; l'ultimo intervento decorativo (1788) in stile Luigi XVI per il matrimonio dei Duchi d'Aosta, un "dono di nozze sull'orlo della rivoluzione". E siamo giunti nuovamente al 1798. Ma il percorso riprende di nuovo, questa volta su di un livello differente, nel quale la narrazione giunge ad un epilogo felice. Un secolo di cantiere, di volta in volta segnato dal procedere del gusto, non solo ha mutato il volto del complesso, lasciando ogni fase incompiuta e creando una macchina architettonica sbilanciata, quasi destinata alla rovina, come suggerisce un paragrafo (Cause di morte: asimmetria), ma ha contribuito a cancellare l'impianto originario. E' il caso del giardino, completamente distrutto nelle sue componenti laterizie e lapidee fra il 1700 ed il 1751, per realizzare il grande parco alla francese, analizzato nelle sue ragioni e in relazione al trattato del Dezallier d'Argenville, nel VII capitolo. Dove sono finite le statue, i busti, i telamoni, i bassorilievi che in numero di quattrocento ornavano fontane, grotte, scalee? In questa seconda parte del libro, in un contesto storicamente e architettonicamente ormai chiarito, si cerca di dare risposte operando un vero e proprio "restauro della memoria". L'archivio viene interrogato nuovamente, cercando di riconnettere le sinapsi ormai decadute. Sulla traccia delle relazioni presentate al Re in merito allo stato delle Fabbriche e Fortificazioni, lungo tutto il XVIII secolo, si ricompone la nuova geografia delle sculture. Tolte ai giardini e immagazzinate vengono poi vendute o donate ai nobili più vicini alla Corte. L'investigazione nelle ville e nei palazzi di questa nobiltà si avvale di "foto segnaletiche" (le incisioni del giardino pubblicate nel 1679) e di informazioni precise (le dimensioni e le descrizioni fornite nei contratti sottoscritti dagli scultori). Il risultato di questa operazione compare nei capitoli VIII e IX: buona parte delle decorazioni marmoree dei giardini di Venaria Reale viene "ritrovata" in ville e palazzi torinesi, ma anche a Govone, nel cuneese. Lo stesso metodo viene poi applicato (capp. X e XI) al corredo scultoreo provvisto per il palazzo nella seconda metà del '700 e successivamente scomparso: quattro allegorie delle Stagioni, i grandi vasi posti alle terrazze. Dall'indagine emerge non solo il ritrovamento delle opere, ricollocate nei giardini del Palazzo Reale di Torino in epoca napoleonica, ma anche la filosofia del reimpiego che ha presieduto, negli anni del governo francese, all'adeguamento decorativo dei palazzi, divenuti ormai "imperiali". Venaria Reale compare quindi non pi— come residenza spogliata furiosamente dalle masse ma scientificamente e progressivamente privata di camini, boiseries, sculture, pavimenti, per ornare il palazzo in città. La monografia si conclude con una serie di appendici in cui nutriti elenchi ci riconsegnano in dettaglio, fra acconti, saldi e pagamenti a pittori, plasticatori, ebanisti, etc., il volto degli appartamenti. La selezione dei documenti di archivio, la cui lettura è favorita dalla presenza di un glossario e una tavola delle unità di misura, esemplifica i momenti fondamentali o i metodi seguiti in quest'opera di continua dilapidazione-rimodellazione. Il volume è stato ripubblicato nel 2006 dal medesimo editore.
1994
9788871800813
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